Il continuo cambio di trattamento da un farmaco biosimilare a un altro potrebbe ridurre l’aderenza alla terapia
“No” ai continui cambi di terapia e “sì” a una comunicazione più efficace tra medico e pazienti.
industria farmaceutica italiana

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“No” ai continui cambi di terapia e “sì” a una comunicazione più efficace tra medico e pazienti. Motivo del contendere sono i farmaci biosimilari. Il monito, invece, è di cinque associazioni di pazienti, che rappresentano 4,2 milioni di italiani con malattia immunologiche croniche. Queste le sigle: Amici onlus (Associazione nazionale malattie infiammatorie croniche intestino), Amrer (malati reumatici Emilia-Romagna), Anmar (Associazione nazionale malati reumatici), Apiafco (psoriasici amici della Fondazione Corazza) e Apmarr (Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare).

La posizione sui biosimilari

Le cinque organizzazioni hanno sottoscritto un “documento di consenso” per lanciare un messaggio alle istituzioni: “Il continuo cambio di trattamento da un farmaco biosimilare a un altro, il cosiddetto “switch multiplo”, potrebbe – affermano le associazioni in un comunicato – ridurre l’aderenza alla terapia, oltre a esporre il paziente a possibili rischi dovuti all’impossibilità di raccogliere dati a medio-lungo termine, e va pertanto riconsiderata la proposta di sostituibilità automatica tra questi farmaci avanzata da Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, per razionalizzare la spesa farmaceutica del Servizio sanitario nazionale (Ssn)”. La proposta Aifa risale all’autunno scorso.

Questi gli altri punti chiave del documento: “Una maggiore e più uniforme comunicazione per valorizzare il concetto di biosimilare e aumentare l’aderenza; informazione e sensibilizzazione sulla sostenibilità del servizio sanitario e sul valore del farmaco; il reinvestimento delle risorse per migliorare l’accesso alle cure; l’uniformità territoriale della disponibilità dei farmaci; l’inclusione delle associazioni pazienti nei tavoli istituzionali”.

L’indagine

All’origine del documento c’è un’indagine su un campione di 1.330 pazienti (di cui il 42% in trattamento con biosimilari), realizzata con il contributo incondizionato di Amgen. Secondo i risultati, “il 77% del campione in cura con biosimilari ha già fatto uno switch al secondo trattamento, prescritto nel 29% dei casi per motivi economici, nel 25% per ragioni cliniche, nell’11% per ragioni organizzative”. Il 48% ha dichiarato di “aver ricevuto spiegazioni inadeguate/insufficienti sui motivi dello switch e tra questi la maggior parte ha ricevuto il biosimilare per motivi di risparmio”. Il 18% del campione ha fatto uno “switch multiplo” e le spiegazioni fornite “sono analoghe a quelle dello switch da biologico a biosimilare”.

La comunicazione

Il documento pone poi l’accento sulla comunicazione: “è importante – si legge nella nota delle associazioni – che vengano valorizzate, nel dialogo con il medico, le informazioni sui biosimilari in termini di efficacia e sicurezza e non solo l’impatto che possono avere sul risparmio per il Ssn. Le associazioni pazienti concordano sul fatto che la comunicazione fatta al medico e al paziente sui biosimilari non sia uniforme e che vengano pertanto trasferiti messaggi diversi. C’è un problema di uniformità – sottolineano le associazioni – ma anche di qualità dell’informazione disponibile al medico e al paziente: in particolare il medico, per motivi di diversa natura, organizzativi, strutturali e di risorse, non è mai in grado di dedicare un tempo adeguato per comunicare al paziente tutte le informazioni che – concludono le associazioni – sarebbe utile fossero a disposizione del paziente stesso”.

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