Illegittima la segnalazione in C.R., se è conseguenza dell’omissione della banca

Ancora nessun commento

Cass., 2014, 6 novembre n. 23646

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23646/2014, ha stabilito che è illegittima la segnalazione “in sofferenza” alla Centrale Rischi della Banca d’Italia allorché l’istituto di credito, non avendo provveduto alla sollecita vendita dei titoli di stato di cui la cliente debitrice era titolare, ha impedito il sostanziale azzeramento dell’esposizione debitoria.

Il caso

Una società formulava una richiesta risarcitoria nei confronti della propria banca in ragione di una duplice illegittima segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. La domanda, respinta in primo grado, veniva parzialmente accolta al termine del giudizio d’appello. Segnatamente, l’esposizione della società riveniva da un residuo di mutuo di originari 600.000.000 di lire, garantito da pegno su titoli. Venutasi presto a trovare in una situazione di difficoltà economica e al fine di risanare il debito, la società cliente autorizzava la vendita di parte dei titoli, ma l’istituto vi provvedeva soltanto dopo la segnalazione a sofferenza. Il ricavato della vendita degli strumenti finanziari, per altro, riduceva sensibilmente l’esposizione anche da scoperto di c/c – fino a Lit. 50.000.000 –  ma non impediva una seconda segnalazione in C.R. da parte della banca per il residuo debito.

Con riferimento alla prima segnalazione, la Corte d’Appello di Firenze riteneva che nella sofferenza riscontrata in capo alla società, non potesse ravvisarsi una condizione equiparabile all’insolvenza, atteso che la banca deteneva in pegno titoli pubblici di cui era titolare la parte debitrice. I suddetti titoli erano stati alienati solo dopo la segnalazione, per un importo di poco inferiore all’ammontare della sofferenza, con conseguente riduzione dello scoperto, peraltro, come detto, produttivo della seconda segnalazione. Secondo la Corte d’appello, quindi, non vi era una situazione di perdurante incapacità di far fronte alle obbligazioni assunte, dal momento che la società avrebbe potuto ripianare le esposizioni debitorie mediante la vendita dei titoli; inoltre, se la banca avesse provveduto tempestivamente alla cessioni degli stessi, anziché trasferire l’intera posizione a sofferenza, avrebbe ridotto drasticamente il debito.

Tuttavia, la Corte d’Appello riteneva corretta la seconda segnalazione, relativa al debito residuo al netto della vendita dei titoli, poiché una volta realizzato il pegno, ed in mancanza di ulteriore liquidità, la situazione equiparabile all’insolvenza era ravvisabile. In ragione della affermata legittimità della seconda segnalazione, la domanda risarcitoria veniva quindi rigettata. Avverso tale pronuncia, la società proponeva ricorso in Cassazione.

La decisione della corte Suprema

La contraddittorietà della sentenza d’appello non sfuggiva al vaglio degli Ermellini i quali, infatti, osservavano  che l’affermata legittimità della seconda segnalazione contrasta nettamente e risulta incompatibile sul piano logico con la opposta valutazione riferita alla prima. Tale valutazione si fonda, infatti, in particolare, sul comportamento quanto meno non ispirato alla diligenza del banchiere da parte dell’istituto di credito, per non aver provveduto alla sollecita vendita dei titoli di stato invece di differirne l’alienazione ad un momento successivo alla segnalazione. Secondo quanto affermato dalla Corte d’Appello la vendita anticipata avrebbe determinato il sostanziale azzeramento dell’esposizione, comunque ridotta a poco più di 50.000.000 di lire rispetto alla cifra molto più elevata della prima segnalazione. Da tali premesse consegue che il debito residuo, a parte il suo modesto ammontare e la sua recuperabilità (avvenuta poco dopo la segnalazione) è stato determinato dal comportamento della banca che ha ritenuto di differire la vendita titoli ad un momento successivo alla prima segnalazione, per effetto della quale si sono determinate le conseguenze d’impedimento di accesso al credito denunciate dalla parte ricorrente.

Tale contraddittorietà tra premessa e conclusione relativamente alla seconda segnalazione risulta ancora più accentuata dal fatto che la Corte d’Appello avesse espressamente riconosciuto che la società debitrice aveva risposto ai solleciti della banca dimostrando piena propensione al ripianamento mediante la vendita dei titoli.

Reputando, dunque, illegittima anche la seconda segnalazione, i Giudici di legittimità procedevano alla cassazione della pronuncia impugnata, che aveva negato la sussistenza di un danno risarcibile proprio in ragione della ritenuta legittimità della seconda segnalazione.

Al di là del caso che ci occupa, la sentenza in commento offre uno spunto di riflessione in ordine, ancora una volta, alla delimitazione dei concetti di “sofferenza” e di “insolvenza” quali condizioni per procedere alla segnalazione in C.R. e all’incidenza che la presenza di garanzie del credito possa avere sugli obblighi segnalativi. Ricordando che la classificazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente, vale la pena di sottolineare che le Istruzioni di Banca d’Italia di cui alla Circ. n. 139/1991, specificano che nella valutazione della sofferenza si prescinde dall’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti.

Questa direttiva nella fattispecie affrontata è stata disattesa, probabilmente alla luce, da un lato, della agevole e satisfattiva escutibilità del pegno e, dall’altro, della disponibilità della cliente a sanare la propria situazione debitoria, proprio tramite espressa autorizzazione alla banca a cedere i titoli oggetto del pegno.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Tumblr
Telegram
WhatsApp
Print
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ALTRI ARTICOLI