In Italia la spesa per ricerca e sviluppo migliora in misura insufficiente in rapporto al prodotto interno lordo

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Chi sono le pmi innovative? L’Italia è posizionata in fondo alla classifica delle nazioni europee, in relazione al rapporto tra investimenti in ricerca e sviluppo e prodotto interno lordo. Dopo la flessione del biennio 2014-15, sono in ripresa anche gli stanziamenti del Miur agli enti pubblici di ricerca, passati da 1.572 milioni nel 2016 a 1.670 milioni nel 2018: il Cnr, in particolare, ha ottenuto nel biennio un incremento da 555 milioni a 602 milioni. Si conferma il quadro positivo del saldo commerciale tecnologico e dei brevetti e della produzione scientifica dei nostri ricercatori.

RICERCA E SVILUPPO: LA RELAZIONE CNR 2019

I dati emergono dalla Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia 2019, un rapporto contenente analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia, che il Cnr mette a disposizione di governo, Parlamento e opinione pubblica.

La quota dei ricercatori in rapporto alla forza lavoro, pur rimanendo ben al di sotto di quella degli altri Paesi europei e distanziandosi ancora di più dalla media Ue, è costantemente cresciuta nell’ultimo decennio. Dal 2005 al 2016 i ricercatori sono aumentati di circa 60.000 unità. La crescita più rilevante si è registrata nelle imprese private: i dati più recenti mostrano una tendenza che avvicina questo settore per numero di ricercatori all’università. Quest’ultima rimane ancora l’area maggiore, con 78.000 addetti contro i 72.000 delle imprese, ma nell’università il numero complessivo è pressoché stazionario. Anche gli enti pubblici di ricerca hanno registrato una crescita sensibile nel corso degli ultimi 10 anni, giungendo a circa 29.000 ricercatori, oltre il 15% del totale. Molto rilevante la quota di assegnisti: sono più del 20% dei ricercatori nelle università, e addirittura il 25% negli enti.

RICERCA E SVILUPPO: SI RIDUCE (POCO) IL GAP DI GENERE

Si rileva inoltre un progressivo aumento delle ricercatrici e, secondo le proiezioni, entro il 2025 il divario di genere potrebbe pressoché scomparire nelle istituzioni pubbliche e ridursi drasticamente nelle università, mentre nelle imprese sembra rimanere sostanzialmente immutato. Tuttavia, queste proiezioni non considerano la progressione di carriera, che tuttora penalizza le donne.

Confrontando l’età dei ricercatori, la Relazione evidenzia come nell’università italiana gli over 50 superano la metà dei docenti, mentre nel Regno Unito e in Francia sono, rispettivamente, il 40% e il 37%. L’età media dei docenti italiani è di quasi 49 anni e quella dei ricercatori negli Enti pubblici di ricerca è di 46. I ricercatori nelle imprese private hanno un’età inferiore, pari a 43 anni. Il fenomeno, correlato al generale invecchiamento della popolazione italiana, testimonia anche la difficoltà di effettuare nel settore pubblico un reclutamento ordinario basato su una programmazione di lungo periodo. Secondo le proiezioni, in assenza di politiche strategiche di lungo periodo, l’età media dei ricercatori continuerà ad aumentare in tutti i comparti.

PRODUZIONE SCIENTIFICA IN CRESCITA

Per quanto riguarda la produzione scientifica, si conferma il quadro positivo della precedente Relazione: la comunità dei ricercatori italiani produce una quantità di pubblicazioni significativa e in crescita: sia come quota mondiale (quasi il 5% nel 2018), sia per qualità, attestata dalle citazioni medie ricevute per pubblicazione che nel biennio 2017-18 sfiorano l’1,4. Una produzione scientifica analoga a quella della Francia, la quale però conta su un numero di ricercatori più elevato rispetto al nostro Paese.

FINANZIAMENTI UE: ITALIA DISTANTE DAI GRANDI PAESI MEMBRI

L’Italia continua a partecipare attivamente ai Programmi Quadro Europei, compreso Horizon 2020, e nel primo triennio del programma europeo settennale in corso ha ottenuto l’8,7% dei finanziamenti: una quota che resta distante da quella dei finanziamenti ottenuti dai maggiori Paesi europei quali Germania (16,4%), Regno Unito (14,0%) e Francia (10,5%). Il saldo tra la cifra che il Paese versa per i Programmi Quadro dell’Ue a 28 e quella che riesce ad ottenere è purtroppo negativo: l’Italia, infatti, concorre con il 12,5% al bilancio complessivo e intercetta l’8,7% delle erogazioni. Il risultato è dovuto in parte al minor numero di ricercatori presenti in Italia e in parte al tasso di successo dei progetti coordinati dal nostro Paese, pari al 7,5% a fronte di una media di Horizon 2020 del 13%.

NECESSARIE POLITICHE STRATEGICHE

“Ci sono margini di miglioramento che rendono necessario perseguire politiche strategiche. Per aumentare il tasso di ritorno dell’investimento europeo, occorre pensare a sostegni amministrativi, ad incentivi per chi presenta domande, favorendo la collaborazione pubblico-privato e l’innovazione, e coinvolgendo maggiormente idee e proposte dei giovani ricercatori”, osservano Daniele Archibugi e Fabrizio Tuzi, ricercatori Cnr tra gli autori della Relazione.

La necessità di un miglioramento delle prestazioni arriva anche dall’analisi di altri fronti. Per quanto riguarda l’entità del public procurement, cioè gli appalti pubblici, i dati evidenziano effetti marginali: gli avvisi relativi al settore ricerca e sviluppo sono 6 ogni mille gare bandite, mentre nel Regno Unito sono 10 su mille e in Germania 8 su mille.
Per il saldo commerciale nell’alta tecnologia, nell’ultimo decennio il segno è rimasto negativo, anche se il deficit registrato dall’Italia è diventato meno rilevante, attestandosi nel 2018 su meno 4 miliardi di dollari. I brevetti depositati ogni 100.000 abitanti hanno mostrato un incoraggiante miglioramento: 6,7% nel 2016; 7,2% nel 2018; ma i brevetti italiani continuano, tuttavia, ad essere solo il 2,52% sul totale mondiale.

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