La buona regola della Silicon Valley dice che dieci fallimenti sono il primo passo verso un grande successo futuro
Gliimpieghicrollanodimiliardidal

Ancora nessun commento

Una mentalità positiva che ha guidato nell’ultimo ventennio la grande rivoluzione digitale che ha cambiato il mondo, grazie alla vecchia legge del tentativo e dell’errore: per ogni buona idea che si è trasformata poi in azienda di successo (magari planetario), ce ne sono decine di migliaia mai diventate realtà o presto finite nella polvere. È senza scherno, ma con l’intendo di documentare come questa vecchia regola sia assolutamente attuale, che gli esperti della MIT Technology Review con la fine del 2016 hanno compilato una classifica con i 5 principali “flop” che l’industria dell’innovazione ha prodotto (anzi, ha affossato) nel corso dell’anno appena concluso. Cinque idee (anzi, 4 più una, come vedremo) che sulla carta promettevano di rappresentare la prossima rivoluzione, magari a colpi di quotazione miliardaria al Nasdaq, e che invece hanno dovuto dichiarare la resa.
Flop che hanno riguardato anche grandi aziende tecnologiche ormai consolidate e abituate a sfornare business a 9 zeri (come Google, per esempio), ma che a quanto pare non smettono di scommettere anche su prodotti e servizi dal destino incerto che rischiano magari, a un certo punto, di rivelarsi non vincenti. Ma che, non per questo, non smettono di essere “affamate e folli”, come diceva uno che di queste cose ci capiva parecchio. ..
Ecco la top 5 delle tecnologie potenzialmente vincenti che però nel corso del 2016 hanno chiuso i battenti.

1. Vine

Nacque come spin off di Twitter e quando venne lanciato (gennaio 2013) fu celebrata come la social app del futuro: consentiva di registrare e mandare in loop ai contatti minivideo di 6 secondi. Subito amato da star dello spettacolo e fashion blogger, toccò il picco di celebrità nel 2014. Poi, nei due anni seguenti la competizione agguerrita di Instagram e Snapchat gli ha rubato via via terreno, fino a perdere oltre il 50% degli utenti nel corso del 2016. Da qui la decisione maturata a ottobre dal management di Twitter di chiudere l’app.

2. Google Fiber

Il progetto era ambizioso: aggiungere alla superpotenza del software, che ha reso Google un colosso, anche il potere dell’hardware, lanciandosi nel business della fibra ottica con la prospettiva iniziale di cablare 9 città statunitensi, e poi il mondo intero, per portare Internet ad alta velocità e un servizio di tv via cavo. Impegno non da poco per Alphabet-Google, che solo per la fase iniziale di studio aveva messo sul piatto un miliardo di dollari. Procedere sarebbe stato un bagno di sangue, così a ottobre Google ha staccato la spina alla divisione Fiber, dicendo che in ogni caso «la sola ipotesi di entrare in questo nuovo mercato ha costretto gli operatori esistenti a fare uno sforzo maggiore, garantendo una broadband più potente ed efficiente a tanti cittadini».

3. Pebble

Un digital watch nato dal basso da una start-up che nel 2013 si è finanziata attraverso Kickstater (riuscendo a raccogliere 10 milioni di dollari in poche settimane), con l’ambizione di fare concorrenza a un gigante come Apple, che nel frattempo stava per lanciare i propri Apple Watch.

L’accoglienza freddina che il mondo in generale sta riservando agli iWatch e la competizione rivelatasi immane con Apple e Samsung hanno costretto gli ideatori di Pebble ad alzare bandiera bianca. Nel corso del 2016 la start-up è stata acquisita da un altro gigante dei weareables come Fitbit, che ha “spento” il brand Pebble incorporandone le tecnologie nei propri device.

4. Project Ara

Project Ara è un’altra delle ambiziose idee messa in cantiere da Google e cullata nei segreti laboratori di Mountain View per anni, ma abbandonata nel settembre 2016 senza mai arrivare sul mercato. Si trattava, nelle intenzioni, di uno “smartphone modulare e componibile”. Un prodotto a basso costo, marchiato Google, che consentiva all’utente di personalizzare il proprio smartphone aggiungendo al “modello base” una vasta serie di optional via via più raffinati: giga di memoria, fotocamera, diffusori per il suono… Bella idea, ma i trend che stanno dominando il mondo degli smartphone (prodotti a ciclo di vita ridotto, upgrade di software sempre più frequenti) hanno convinto Google a dire addio al progetto.

5. Il jack delle cuffie

Non c’è un nome o un’azienda, in quinta posizione, ma un hardware tecnologico che ha segnato almeno tre generazioni: il jack delle cuffie, ovvero lo spinotto da 3,5 mm che, dai vecchi registratori ad oggi, ha sempre costituito l’elemento di connessione. Spinotto, e relativo filo, che sono stati definitivamente mandati in pensione sul finire del 2016 con la scelta di due colossi come Apple e Samsung di affidarsi completamente alla tecnologia delle cuffie wireless (scelta che Apple stessa, lanciando la prima generazione di AirPods, ha definito «un atto di coraggio», nella consapevolezza del fatto che si tratta di un passaggio epocale). Dal 2017, dunque, inizia l’era dell’ascolto della musica “senza fili”.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Tumblr
Telegram
WhatsApp
Print
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ALTRI ARTICOLI