Lo sciopero dei soldi, venerdì si fermano 26 mila bancari
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Venerdì buona parte degli oltre 26 mila impiegati di banca che lavorano in Piemonte incroceranno le braccia. Lo faranno perché l’Abi, la principale associazione degli istituti di credito, ha disdetto il contratto nazionale e pare intenzionata a non rinnovarlo: “Hanno in mente il “modello Marchionne”, vogliono frammentare la categoria e spostare la contrattazione a livello locale o di grandi gruppi”, dice Angela Rosso, esponente del sindacato autonomo Fabi. “Dopo la Fiat, anche il settore servizi sta cercando di spostare tutto sui contratti di secondo livello, tralasciando le tutele che abbiamo nel contratto nazionale”, rimarca Sandro Testa, segretario della FibaCisl Piemonte.
Ecco il motivo principale per cui buona parte dei bancari piemontesi venerdì aderiranno allo sciopero nazionale indetto dalla categoria e in alcuni casi si sposteranno pure a Milano per partecipare a una delle cinque manifestazioni nazionali indette dalle sette principali sigle di categoria. Una protesta che a Torino sarà lanciata giovedì mattina attraverso un volantinaggio in piazza San Carlo. Ma il contratto nazionale è solo uno degli elementi che agita i sonni dei colletti bianchi piemontesi: “Le banche non riescono a uscire dalle proprie difficoltà e finora hanno reagito colpendo due categorie: i lavoratori, attraverso la disdetta del contratto nazionale e la riduzione del personale, e la clientela, con il taglio di filiali, orari e servizi offerti”, racconta Giacomo Sturniolo, leader regionale della FisacCgil.
I numeri raccontano di un sistema bancario piemontese che si è indebolito. Se nel 2008, all’alba della crisi, gli sportelli presenti nella regione subalpina erano 2.716, ora sono meno di 2.531. Significa che sono sparite 185 filiali, di cui 108 solo nel Torinese. Il personale è diminuito in maniera anche più drastica: dai 39 mila lavoratori del 2008 si è scesi ai 27.900 del 2013, fino ai circa 26 mila attuali. E le sforbiciate potrebbero continuare: “Montepaschi sta chiudendo filiali, ma l’impatto sul Piemonte ci preoccupa relativamente. Piuttosto, siamo allarmati dalle riduzioni annunciate dalla Banca regionale europea”, aggiunge Sturniolo della FisacCgil.
Una parte dei tagli è causata dalle nuove tecnologie: oggi le operazioni bancarie si fanno sempre più spesso “online” e sempre meno allo sportello. Ma secondo i sindacati questa tendenza rischia di diventare pericolosa: “La desertificazione commerciale che è in atto in Piemonte non riguarda soltanto i negozi, ma anche gli istituti di credito. Ci sono paesi e aree di città più grandi che sono stati abbandonati dai gruppi bancari per ridurre i costi. Eppure si tratta di presidi fondamentali per risparmiatori e cittadini”, spiega Antonio Cerabona, responsabile della UilcaUil regionale. Secondo Banca d’Italia, oggi c’è almeno una filiale in 646 comuni piemontesi su 1.206 totali e negli ultimi dieci anni sono 18 i paesi rimasti senza neppure una banca. Nello stesso periodo, gli sportelli bancomat presenti in Piemonte sono passati da 3.368 a 4.262.
L’altro fenomeno che allarma i sindacati si chiama “esternalizzazioni”. “Le banche stanno spezzettando e affidando all’esterno attività considerate non “core”, non centrali, come ad esempio quelle amministrative. Accade in Intesa Sanpaolo come in Unicredit. Noi invece vogliamo mantenere questi lavoratori all’interno del contratto nazionale”, dice Angela Rosso della Fabi. Così, tra chiusure di sportelli e esternalizzazioni, i sindacati temono altri esuberi: “Gli istituti vogliono ridurre di ulteriori 70 mila unità la forza lavoro nella nostra categoria. E al tempo vorrebbero smantellare il fondo esuberi, che in questi anni ha accompagnato 40 mila colleghi verso la pensione”, denuncia Testa della FibaCisl.
Non solo, a causa del calo del personale anche il modo di lavorare in banca è cambiato. Per certi versi è peggiorato, per esempio da quando alcune grandi banche hanno introdotto orari più estesi. Salvo poi fare una parziale marcia indietro, come sta accadendo in Intesa Sanpaolo, dove alcune delle filiali aperte dalle 8 alle 20 da poche settimane hanno anticipato la chiusura alle 18.30 o alle 19. Il risultato, lamentano i rappresentanti dei lavoratori in una nota, è che “l’azienda presenta una varietà di orari tali per cui la clientela avrà serie difficoltà a capire quando, dove e per fare cosa riuscirà a utilizzare una filiale”. E a farsi carico delle lamentele è sempre chi sta dall’altra parte dello sportello.

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