Marzotto ha fatto la storia del capitalismo italiano
Marzotto da una trentina d’anni non s’è fatta mancare niente, quanto a battaglie tra azionisti e svolte mai banali.
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Marzotto da una trentina d’anni non s’è fatta mancare niente tra battaglie tra azionisti e svolte mai banali.

Le buste e la miglior offerta

Non sfugge alla regola l’ultimo episodio del romanzone ambientato a Valdagno: come ha rivelato il giornale l’Identità, giovedì scorso Antonio Favrin con i suoi familiari ha conquistato il controllo pieno di Trenora, holding a cui, attraverso un ulteriore passaggio (la società Wizard), fa appunto capo il gruppo Marzotto. È successo davanti al notaio con una contesa alle buste sulla migliore offerta, come un tempo avveniva in certe spinose trattative di calciomercato per i giocatori in comproprietà. La Faber Five, cassaforte dei Favrin, l’ha spuntata per soli 10 mila euro in più rispetto al valore messo sul piatto (32 milioni) dagli eredi di Andrea Donà dalle Rose (figlio a sua volta di Italia Marzotto), che dell’azienda tessile era stato amministratore delegato e socio di riferimento fino alla sua morte, avvenuta nel settembre del 2022. Solo diecimila euro di differenza, ovvero lo 0,025% dei ricavi – pari a 400 milioni – che il gruppo ha realizzato lo scorso anno.

Più alcun erede

Insomma l’ha spuntata ancora una volta l’uomo che è stato per quasi sessant’anni manager e stratega in azienda, fino a diventarne co-proprietario: la sua Faber Five possedeva già il 40% in Trenora, in quota paritetica rispetto ai Donà dalle Rose. Pacchetto che ora rileverà, salendo all’80%. Questo significa semplicemente che non ci sarà più alcun erede della dinastia Marzotto al comando, anche se la famiglia non sparisce dall’azionariato. Il marchio dei Favrin era già ben impresso in società: Davide è l’attuale amministratore delegato del gruppo tessile e la sorella, Federica, esperta di finanza, è in cda. L’operazione dà quindi continuità ai figli di Antonio, oggi ottantaseienne, che spiega la strategia per il futuro: «In questa situazione globale, che porta a ripensare oltre un secolo di storia, avere un’azienda con più di tremila persone sparse in tante parti del mondo significa metterla in condizioni di modificarsi e adattarsi, più che di svilupparsi. Dobbiamo essere molto attenti all’evoluzione globale: economica, sociale o tecnologica che sia». Il tutto in un campo d’azione, quello tessile, che combatte da lungo tempo contro il declino, soprattutto in Europa.

Una storia di capitalismo

L’uscita dell’ultimo ramo dei Marzotto chiude simbolicamente un’epopea che data dal 1836, anno di nascita del Lanificio. Una storia di capitalismo olivettiano prima di Olivetti, con lo sviluppo della città sociale a Valdagno già verso la fine degli anni Venti del Novecento: l’asilo, il nido, l’ospedale, il medico aziendale, più tardi le colonie marine, tutto disegnato intorno alla fabbrica e ai bisogni dei suoi dipendenti. È la storia di un capitano d’impresa, Gaetano Marzotto jr, il conte, che a partire dal 1922 fa decollare il lanificio e pone le basi di un impero diversificato, con le tenute di Villanova Portogruaro da cui nascono Zignago Vetro e i vini Santa Margherita, e con la compagnia dei Jolly Hotels, la prima catena privata di alberghi in Italia. Grandi ricchezze e mondanità da strillo in prima pagina: dei sette figli di Gaetano jr, uno, Giannino Marzotto, si distingue come pilota automobilistico negli anni Cinquanta, partecipando con successo a gare come la Mille Miglia o la 24 Ore di Le Mans; un altro, Umberto, sposa in prime nozze tale Marta Vacondio, che diventerà presto la regina dei salotti in Italia, la Marta Marzotto nazionale. E il loro figlio, Matteo, attira tra gli anni Novanta e i Duemila l’attenzione generale per le sue fidanzate, a cominciare da Naomi Campbell, favolosa e impulsiva top model che crea scompiglio nell’appartata Valdagno con le sue improvvise apparizioni. 

Moda e internazionalità

Ma dinastia Marzotto significa anche Pietro, un altro figlio di Gaetano jr, l’uomo che l’impero l’ha guidato per una ventina d’anni spingendolo verso l’internazionalità e la moda, con l’acquisizione di Hugo Boss e soprattutto della griffe Valentino. Confindustriale a cui non piaceva affatto Silvio Berlusconi, Pietro è l’ultimo dei figli di Gaetano jr a timonare il gruppo e finisce al centro della prima cruenta battaglia familiare. Dalla sua estromissione, che si completa nel 2004 con la vendita delle quote, la storia cambia inesorabilmente: i rami si dividono, le griffe finiscono in mano ad altri, l’azienda tessile originaria sembra inabissarsi, si ridimensiona ma in realtà tiene duro: «La Marzotto spa – sottolinea Antonio Favrin – l’anno scorso ha chiuso il migliore dei suoi ultimi venti bilanci». E d’ora in avanti farà a meno dei Marzotto.

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