Notai contro la Cassazione in tema di Trust
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L’auspicio che la Corte di cassazione si ricreda e che la prassi non si allinei: è quanto viene espresso in uno studio del Consiglio nazionale del notariato (il 132/2015/T) che commenta le recenti decisioni sul trust (sentenze 3735, 3737 e 3886 del 4 febbraio 2015).
Con queste sentenze la Cassazione ha ritenuto oggetto di imposta di donazione l’istituzione di un vincolo di destinazione in sé, a prescindere dal fatto che vi sia un trasferimento del bene oggetto di vincolo. E ciò in contrasto con quanto ritenuto dal prevalente orientamento della dottrina, della prassi e della giurisprudenza, secondo cui in tanto potrebbe esservi la tassazione del vincolo di destinazione in quanto vi sia anche il contestuale mutamento di titolarità del bene vincolato.
Si è sempre saputo (e operato nel senso) che all’atto istitutivo del fondo patrimoniale non fosse applicabile l’imposta proporzionale se l’atto stesso non comportasse anche il trasferimento della proprietà del bene soggetto al fondo. Si è altrettanto sempre ritenuto che al cosiddetto trust autodichiarato, non comportando il trasferimento del bene vincolato in trust, andasse applicata la sola imposta fissa.
Invece, con le sentenze dello scorso febbraio, la Cassazione ha affermato che con il Dl 262/2006 è stata introdotta una imposta “nuova”, vale a dire l’imposta sulla “costituzione di un vincolo di destinazione”.
Il presupposto impositivo di questo tributo sarebbe da individuare nella «predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti» in quanto l’oggetto dell’imposizione consisterebbe nel «valore dell’utilità» relativamente alla quale il disponente limita le proprie facoltà proprietarie.
In sostanza, il contenuto economico della destinazione patrimoniale sarebbe sufficiente, ad avviso della Cassazione, a manifestare la capacità contributiva indicata all’articolo 53 della Costituzione e la sussistenza di un «collegamento tra prestazione imposta e presupposti economici presi in considerazione», costituiti dal rilievo patrimoniale della destinazione, renderebbe irrilevante l’eventuale trasferimento patrimoniale connesso al vincolo destinatorio. La realizzazione del presupposto impositivo al di fuori di fattispecie traslative di ricchezza, evidenzierebbe l’autonomia del “nuovo” tributo rispetto all’imposta sulle successioni e donazioni, cui sarebbe accomunata solo per “assonanza”.
Il parere del notariato
Secondo il notariato, questa impostazione è criticabile sotto diversi aspetti:
non sarebbe anzitutto sostenibile che il Dl 262/2006 ha introdotto un “nuovo” tributo sui vincoli di destinazione, dato che tale normativa prevede esplicitamente l’istituzione della sola «imposta sulle successioni e donazioni», non facendo menzione di altri tributi;
in secondo luogo, l’imposizione sulla mera costituzione del vincolo di destinazione, indipendentemente dal verificarsi di una fattispecie traslativa, non sarebbe costituzionalmente legittima, ai sensi dell’articolo 53 della Costituzione, perché non correlata a una forza economica effettiva;
la scomposizione del presupposto del tributo sulle successioni e donazioni in due momenti (da una parte, quello basato sul trasferimento del bene o del diritto, per causa di morte, donazione o a titolo gratuito; dall’altro, quello correlato alla mera costituzione di un vincolo destinatorio) manifesterebbe una irragionevolezza in grado di scontrarsi con il limite rappresentato dal principio della coerenza logica dei singoli tributi ritraibile sempre dall’articolo 53 della Costituzione.
A questa conclusione si giunge sia rilevando la non omogeneità dei due presupposti, sia valorizzando la struttura normativa dell’imposta, che presuppone (in termini di soggetti passivi, base imponibile e aliquote) che vi sia un patrimonio che si trasferisce da un soggetto all’altro, che lo stesso sia valutato in occasione del trasferimento e che sia configurabile un “beneficiario” del trasferimento quale soggetto passivo del tributo.

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