Popolari, massima frammentazione e minima redditività
Investment compact, al via il riassetto delle grandi banche popolari

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Solo il round di aggregazioni che porterà con sè la riforma delle popolari potrà consentire al sistema bancario italiano di colmare almeno parte della distanza che lo separa dal resto d’Europa. Tira aria di nozze, e secondo gli analisti di Boston Consulting e di Bernstein le più probabili rimangono tre: tra il Banco Popolare e Bpm, tra Ubi e Mps, tra Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Difficile, almeno in una prima fase, ipotizzare operazioni allargate a tre (o più) soggetti: «Sarebbe una prima volta, non c’è esempio al mondo di un’integrazione di questo genere», taglia corto Gennaro Casale, partner e managing director di Bcg.
Ipotesi non nuove, quelle contenute nell’ampio studio divulgato ieri, accreditate però da premesse e benefici potenziali che le rendono quanto mai opportune. In pratica: le aggregazioni, per Bcg, sono utili e questi matrimoni s’hanno da fare. Il più ambizioso, per dimensioni e sentiment, rimane quello tra Ubi e Mps, progetto ritornato d’attualità dopo che il ceo della popolare, Victor Massiah, sabato scorso al termine dell’assemblea ha detto che «non si può escludere niente». Nell’ipotesi più hard, cioè di una fusione completa tra le due banche (considerata preferibile, da Bcg, rispetto a uno spezzatino tra parte core e non core o allo spin off della reta ex Antonveneta), nascerebbe «un grande campione nazionale», con la rete più estese in Italia (4.110 filiali, di cui 5-600 a rischio chiusura ) e una quota di mercato tra le prime tre in tutte le regioni. Soprattutto, però, un’integrazione consentirebbe risparmi nell’ordine dei 450-500 milioni.
Sì, perché dal report emerge chiaramente che le nozze, ad oggi, rappresentano la scorciatoia per la redditività: «Il consolidamento, insieme ad altri fattori, potrebbe condurre a un RoTE del 10,5%, contro il -41,5% del 2014», ricorda ancora Casale, insieme a Garabet Ayvazian di Bernstein. Il dato è d’insieme sulle principali 11 popolari, ma tiene conto dei tre merger previsti: oltre a Ubi e Mps, si diceva, si guarda al grande polo veneto composto da Popolare Vicenza e Veneto Banca. Un’unione che non scalda (ancora) tutti i cuori, ma che vedrebbe sovrapposizioni limitate in termini di sportelli (50-100 da razionalizzare sui 1.163 totali) e una riduzione dei costi per 150-200 milioni l’anno, tale da portare il cost-income al 58-60%.
Infine, il big deal Banco Popolare-Bpm. Punto di partenza, la compatibilità “culturale” e forte radicamento in aree ricche, l’approdo invece sarebbe una riduzione dei costi operativi pari a 3-400 milioni. E Bper? L’altra grande popolare, stimano gli analisti di Bcg, continua a rappresentare una valida alternativa per Bpm nel caso in cui non vadano in porto le nozze con il banco: insieme, Modena e Milano costituirebbero la quinta banca italiana e «si costituirebbe un’importante piattaforma per successivi M&A», a partire da Carige.

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