Rinviato l’ok dalla Bce per l’aumento di capitale di Carige
Carige aspetta l'arrivo di Bonomi

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Il piano di ricapitalizzazione di Banca Carige era ieri all’attenzione del supervisory board della Banca Centrale Europea, ma la luce verde non è ancora arrivata. Si attende un altro passaggio formale, quello del governing council, previsto nella prima settimana di marzo. Solo allora sarà dato il via libera al capital plan, che prevede una ricapitalizzazione di 700 milioni (garantita da un pool di banche capitanato da Mediobanca ) e alcune cessioni: quelle di Banca Cesare Ponti (marchio di prestigio nell’attività di private banking), di Creditis (la realtà di credito al consumo per la quale è in corso una negoziazione in esclusiva col fondo americano Apollo Global Management), mentre le realtà assicurative sono già state cedute ad Apollo per 310 milioni. Senza l’ok Bce l’istituto ligure non può deliberare l’aumento di capitale e tutte le operazioni finanziariamente strategiche rimangono congelate. Ma la messa a punto delle strategie industriali della banca genovese non può arrestarsi. Lo stesso amministratore delegato Piero Montani qualche giorno fa, parlando agli analisti, aveva accennato alla messa a punto del nuovo piano industriale 2015-2019 che, rispetto al vecchio piano 2014-2018 presentato lo scorso marzo, conterrà variabili patrimoniali diverse (visto che il piano precedente non prevedeva l’aumento di capitale da 700 milioni) e rivedrà al ribasso le previsioni di crescita. La parola d’ordine del nuovo piano sarà «redditività», obiettivo da raggiungere anche attraverso un taglio dei costi, come sottolineato da Montani. A tale proposito, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, sono partite le prime valutazioni interne. Valutazioni che hanno interessato anche la divisione infrastrutture Information and communication technology (Ict). Sono partite, infatti, indagini conoscitive su un possibile interesse dell’attività sul mercato e cinque società hanno manifestato seppur informalmente il loro interessamento. Non è ancora chiaro se l’istituto stia pensando di cedere l’attività (esternalizzando i servizi) oppure il ramo d’azienda; in ogni caso la divisione è finita all’attenzione della banca e potrebbe essere razionalizzata in un’ottica di spending review. Le organizzazioni sindacali a questo proposito hanno chiesto un incontro al responsabile del personale e della divisione Ict, che non è stato ancora concordato. I sindacati hanno svolto anche una sorta di check up sullo stato d’avanzamento del vecchio piano industriale. «Nel piano 2014-2018 si sosteneva che i presunti esuberi sarebbero stati generati dalla semplificazione della struttura del gruppo, dal nuovo assetto organizzativo e dalla trasformazione digitale; ebbene, nessuno di questi progetti è stato ancora attuato», scrivono in una nota a diffusione interna. «Si diceva che in tempi rapidi sarebbero state avviate le procedure di fusione delle banche del gruppo: non ci risulta che sia stato fatto alcun passo in questa direzione. Si annunciava poi il processo di rafforzamento della Banca Cesare Ponti», che invece è stata posta in vendita. Alcuni punti del piano invece sono invece stati avviati e confermati. Si tratta del modello di rete chiamato hub&spoke, delle già citate cessioni e di alcune attività per la messa in sicurezza della banca. Sul futuro assetto della banca pesa anche l’incognita Fondazione: l’ente ligure, primo azionista al 18,9%, ha chiesto l’autorizzazione al Tesoro per la cessione del pacchetto azionario e il cda si riunirà lunedì 23.

 

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