Una tempesta in un bicchiere d’acqua sul (presunto) divieto ad allevare suini in Sardegna?

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SardegnaIl consigliere Roberto Deriu tranquillizza tutti via Facebook: «Io sono uno dei pochi consiglieri regionali che non ha votato l’articolo 4 della legge sulla allevamento dei suini – scrive il consigliere regionale nuorese vicecapogruppo del Pd – e quindi, dopo aver studiato il problema, e ascoltato tutte le campane, sono arrivato alla seguente conclusione:1) NON CAMBIA NULLA NELLE AZIENDE AGRICOLE SARDE, anche in quelle di famiglia; 2) Per chi ha maiali SENZA ESSERE ALLEVATORE professionale, si devono osservare prescrizioni particolari CONTRO LA PESTE SUINA. Ulteriori precisazioni sulle regole da seguire nei due casi saranno in seguito emanate dalle competenti autorità. Nel mentre – ironizza Deriu – continuate tranquillamente a mangiare il porcello, nel modo nel quale vi piace di più». Si gioca, quindi, sulle interpretazioni della  legge per la valorizzazione della suinicoltura sarda approvata da Consiglio regionale il 24 luglio (e non il 2 agosto data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione con il numero 28, nessun blitz agostano, dunque). Una nota tutta politica, innanzitutto: «Il centrosinistra calpesta le nostre tradizioni e massacra il piccolo allevamento di maiali: una follia così non si era mai vista», accusa via agenzia Ansa Sardegna il deputato di Forza Italia Ugo Cappellacci che rincara la dose sostenendo che «così non si potranno più allevare suini in grado di riprodursi ma soltanto quelli da ingrasso con un colpo solo cancelleranno ogni forma di piccolo allevamento a conduzione familiare. Insomma, fanno i forti con i deboli e i deboli con i forti, offrendo il destro alla colonizzazione alimentare della nostra isola e dimostrandosi ancora una volta acerrimi nemici di chi onestamente tenta di guadagnarsi da vivere facendo quello che ci hanno insegnato i nostri avi». Peccato che la legge sia stata votata all’unanimità, con 39 voti su 39 presenti, compresi dunque i consiglieri del centrodestra. «Semmai è l’intero Consiglio regionale sardo e non solo il centrosinistra «a calpestare le nostre tradizioni e massacrare il piccolo allevamento di maiali». Anche perché come ha fatto notare il presidente di “Unidos”, l’ex deputato Mauro Pili invocando «l’immediata cancellazione della norma, senza perdere tempo», il contestato articolo 4 su 48 presenti è stato votato da 44 consiglieri con soli 4 astenuti e nessun contrario.  Non solo. A leggere il resoconto della seduta stilato dall’ufficio stampa del Consiglio regionale proprio sull’aspetto denunciato da Cappellacci e in netto contrasto con il parlamentare, il consigliere di Forza Italia Edoardo Tocco ha ribadito la necessità «della tracciabilità delle carni, distinguendo l’allevamento dei capi di razza sarda per l’autoconsumo familiare sino a un massimo di 4 capi, dall’industria vera e propria». A cancellare ogni perplessità dell’ex presidente della Regione oggi parlamentare, dovrebbero essere anche le parole pronunciate in aula da Luigi Crisponi(Riformatori), tra l’altro firmatario della proposta di legge: «Questa iniziativa legislativa ci è piaciuta molto e abbiamo collaborato anche noi dell’opposizione perché in questo settore c’è una grande occasione di crescita economica per la Sardegna. Solo in Spagna vale 4 miliardi di euro il giro di affari del suino: immaginate cosa potrebbe accadere in Sardegna in questo comparto seguendo l’esempio iberico. Insomma, è una buona proposta di legge che rassicura il consumatore e assicura gli allevatori del suino di razza sarda sul loro lavoro». Resta però il dubbio legato all’ambigua formulazione dell’articolo 4 della legge. Dubbio che ha provocato una tempesta di reazioni negative sui social network, alimentato anche da Tore Piana, presidente del Centro Studi Agricoli secondo cui se non modificata la legge cancellerà la tradizione millenaria della Sardegna, costituita dal Porcetto sardo perché l’articolo 4 recita al comma 2 che «nell’allevamento familiare si possono detenere fino a quattro capi suini da ingrasso e non è consentita la presenza di capi riproduttori. Nella stessa azienda agricola non è consentito più di un allevamento di tipo familiare. Tutti i capi allevati sono destinati all’autoconsumo e non sono oggetto di attività commerciale o di movimentazione verso altri allevamenti». Cosa significa? Che – risponde Piana dal suo punto di vista – «in Sardegna, con allevamento per uso familiare non può essere prodotto il porcetto sardo ma solo l’ingrasso per un massimo di 4 maiali. Una norma che non sta né in cielo né in terra perché allevare e produrre in proprio il porcetto è una tradizione millenaria che non sarà certo una legge a bloccare». Il presidente del Centro Studi Agricoli contesta la norma che sarebbe stata emanata «per mascherare una incapacità della Pubblica Amministrazione ad eseguire i dovuti controlli nei confronti delle persone che allevano in Sardegna maiali per uso familiare  e che invece vendono illegalmente e in nero i porcetti e le carni di maiale o le salsicce». Anche secondo Tore Piana «la legge regionale contiene molti articoli che sono innovativi e pienamente condivisibili». Proprio per non vanificarne gli effetti positivi,  oltre all’articolo 4 bisognerà modificare anche l’articolo 9 della stessa legge  nella parte dove si parla («norma assurda») di programmi di studio e valorizzazione di soggetti derivati dall’incrocio della razza sarda con altre razze” e della nascita di “Centri gran parentali” per la produzione di riproduttori e la nascita di “Centri F.A.” per la produzione di seme per la fecondazione artificiale. «La razza del suino sarda non deve minimamente essere incrociata con altre razze – rileva sempre Tore Piana – noi ne siamo orgogliosi e la vogliamo mantenere e difendere a qualsiasi costo. Non vorrei che dietro a questo blitz estivo ci siano interessi di alcuni, che vorrebbero accaparrarsi  l’esclusiva dei centri di fecondazione artificiale per la riproduzione del seme». Intanto Mauro Pili ha lanciato una petizione on line per “salvare la produzione di maialino sardo di tradizione familiare” e chiedere al ministro delle Risorse agricole Gian Marco Centinaio di «impugnare l’art. 4 della legge regionale 2  AGOSTO 2018, N.28 in quanto lesivo del diritto di equo e univoco trattamento tra Stati e Regioni e fautore di una discriminazione inaccettabile, illegittima e illegale»

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