Usura bancaria e anatocismo
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La sentenza della Corte di Cassazione in commento riguarda la problematica dell’usura bancaria e dell’anatocismo, fenomeni di grande attualità e rilevanza negli ultimi anni, anche per le varie forme che può rivestire un contratto usurario, partendo dalla manifestazione classica di mutuo feneratizio ad interessi illeciti e passando per un contratto di mediazione o intermediazione creditizia o finanziaria laddove il corrispettivo sia usurario, oppure un contratto di apertura di credito, di conto corrente, ecc.

L’oggetto della causa riguarda una opposizione a decreto ingiuntivo proposta da una correntista di una banca, che veniva accolta dal Tribunale di Catania, il quale revocava il decreto e condannava la banca al pagamento delle spese processuali.

Successivamente la Corte d’Appello di Catania accoglieva parzialmente l’impugnazione proposta dalla banca contro la correntista, rilevando d’ufficio la nullità parziale del contratto di conto corrente, con riferimento alla clausola di trimestralizzazione degli interessi passivi, e disponendo il calcolo del saldaconto sulla base di un accertamento peritale. La Corte di Appello però respingeva l’eccezione di nullità parziale della pattuizione relativa alla misura degli interessi, in quanto determinabile (nella misura di cinque punti percentuali sopra il tasso ufficiale di sconto e, comunque, non inferiore al 18%) e, quindi, adottata in deroga alla previsione di cui all’art. 7 delle Norme uniformi bancarie (NUB) con riferimento alle condizioni praticate abitualmente sulla piazza.

Sul punto si ricorda che la generalità dei contratti bancari impiegati nella contrattazione di massa venivano stipulati impiegando schemi contrattuali elaborati dall’Associazione Bancaria Italiana – ABI, schemi contrattuali denominati “NUB”, acronimo di norme uniformi bancarie; dette norme avevano matrice e natura schiettamente privatistica e sono generalmente inquadrate da dottrina e giurisprudenza nella categoria delle condizioni generali di contratto unilateralmente predisposte, con la conseguente sottoposizione alle norme codicistiche (artt. 1341, 1342, 1370 c.c.). La dottrina mise concordemente in rilievo che le norme bancarie uniformi non venivano emanate da un’autorità legislativa o amministrativa comunque dotata di potere normativo, ma piuttosto da un’associazione di categoria, l’A.B.I., priva di potestà normativa e capace di vincolare i propri aderenti solo attraverso l’adozione di idonei schemi contrattuali.

A seguito dell’intervento della Banca d’Italia nel 1994, a chiusura di un’istruttoria volta a verificare la compatibilità delle NUB con il divieto di intese restrittive della concorrenza, e successivamente della sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, del 07.11.2004 n. 21095, subirono profonde modificazioni, anche perché le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi, normalmente contenute al predetto art. 7, davano luogo al fenomeno dell’anatocismo, in contrasto con l’art. 1283 c.c. e perciò dichiarate illegittime dalla giurisprudenza.

 

La correntista, proponendo il ricorso per Cassazione, ha sostenuto che la Corte di Appello, dopo aver dichiarato la nullità della clausola di capitalizzazione degli interessi trimestrali, ha contraddittoriamente disposto il calcolo degli interessi su base annuale, ritenendo valida la pattuizione del tasso di interesse nella misura del 5% superiore al tasso ufficiale di sconto, condannandola al pagamento degli interessi e, da ultimo, ha contestato la compensazione delle spese di lite.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto la validità della tesi della correntista affermando che la Corte di Appello, pur avendo dichiarato la nullità della clausola di trimestralizzazione degli interessi, non ne ha tratto le dovute conseguenze ulteriori, disponendo il calcolo degli interessi a debito del correntista  senza operare alcuna capitalizzazione annuale degli interessi, secondo il principio enunciato dalla Corte a Sezioni Unite (sentenza n. 24418 del 2010).

Circa il secondo motivo di impugnazione, riguardante l’usurarietà del tasso di interesse, la banca  ha eccepito l’inapplicabilità della legge n. 108 del 1996 (recante Disposizioni in materia di usura) perché il rapporto di conto ricorrente si sarebbe esaurito alla data del 18 giugno 1993, ossia anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge.

La Corte, confermando che la nullità delle clausole che prevedono l’usurarietà del tasso di interesse possa essere rilevata anche di ufficio, ha accertato che il rapporto contrattuale fosse andato ben oltre la data di entrata in vigore della predetta normativa. Conseguentemente, ha ricordato il principio espresso con la sentenza n. 1689/2006, in base al quale “per un rapporto contrattuale di durata, l’intervento nel corso di essa, di una nuova disposizione di legge diretta a porre, rispetto al possibile contenuto del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante l’autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto” determina che “il contratto, per quanto concerne la sua efficacia normativa successiva all’entrata in vigore della norma nuova, deve ritenersi assoggettato all’efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, la quale sostituisce o integra per l’avvenire (cioè per la residua durata del contratto)”.

Di conseguenza la Corte ha accolto il ricorso della correntista, rinviando la causa alla Corte di Appello di Catania e ribadendo l’orientamento già in precedenza espresso in tema di efficacia della normativa sui tassi di interessi rispetto ai contratti ancora in essere: “Le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura (introdotte con l’art. 4 della l. n. 108 del 1996), pur non essendo retroattive, comportano l’inefficacia “ex nunc” delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore sulla base del semplice rilievo, operabile anche d’ufficio dal giudice, che il rapporto giuridico, a tale momento, non si era ancora esaurito”.

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