Veneto Banca sotto inchiesta per ostacolo alla vigilanza
Veneto Banca ridisegna la rete

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Un’altra tegola sulle Popolari. Dopo l’inchiesta per insider trading avviata la scorsa settimana, ieri i finanzieri hanno bussato agli uffici di uno dei dieci istituti interessati dal decreto “investment compact”: Veneto Banca. L’inchiesta, sempre delle procura di Roma, nasce qualche mese fa da una segnalazione di Bankitalia per alcune irregolarità nella gestione aziendale riscontrate nel corso di due ispezioni del 2013. In particolare, da Palazzo Koch hanno rilevato «gravi anomalie — si legge nel decreto di perquisizione — tali da determinare una consistente decurtazione del relativo patrimonio di vigilanza». E, non a caso, quella cifra è stata rettificata, dopo le ispezioni, passando da due miliardi di euro a 1 miliardo e 662 milioni.

Non solo. Secondo le ipotesi degli investigatori del nucleo speciale di polizia valutaria, Veneto Banca aveva una «tendenza a concedere finanziamenti in assenza delle prescritte tutele in materia e a discapito di una puntuale valutazione del merito creditizio, con conseguente scadimento della qualità del portafoglio prestiti, sovente normalizzato pur dinanzi a sintomi di insolvenza in capo agli affidati e, dunque, complessivamente assoggettato a valutazioni inferiori a quelle dettate da una sana e prudenziale gestione degli impieghi». Tanto che proprio l’istituto centrale italiano aveva rivisto in difetto l’indice di solvibilità «attestatosi all’esito dell’ispezione al 6,3%, valore notevolmente inferiore al target dell’8% in via generale raccomandato a titolo prudenziale dalla stessa Autorità di Vigilanza ». Il procuratore aggiunto Nello Rossi e il pubblico ministero Francesca Loy sono convinti che a fronte di quei finanziamenti, erogati senza le necessarie garanzie, gli imprenditori abbiano ottenuto quote azionarie della banca. Accreditando così l’ipotesi di una frammentazione del patrimonio azionario che, però, non era reale. Come se quegli imprenditori, sedici quelli perquisiti dagli uomini guidati dal generale Giuseppe Bottillo, avessero praticamente fatto i prestanome per la banca, lasciando gestire ai vertici le loro quote in cambio del denaro. Proprio per questo, anche i prestiti sono oggetto di indagine: gli inquirenti vogliono capire se sono stati rispettati i requisiti previsti.

Il sistema, non hanno dubbi i pm, si reggeva su due figure: Vincenzo Consoli che all’epoca delle ispezioni era amministratore delegato e che, dopo i rilievi, fu rimosso dall’incarico e messo, invece, a fare il direttore generale. E l’ex presidente Flavio Trinca. I due sono indagati per ostacolo all’attività di vigilanza. I finanzieri del valutario, oltre agli uffici della banca, hanno perquisito anche quelli degli azionisti “sospetti” tra i quali figurano big dell’industria italiana (soprattutto veneta) quali Claudio Biasia, Giuseppe Stefanel, Gianfranco Zoppas e la Mdb Consulting di Marco De Benedetti. Nessuno di loro, però, risulta indagato.

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