Accordo sui fallimenti bancari

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Parlamento e Consiglio hanno trovato nella notte tra mercoledì e giovedì un accordo sulle norme da applicare in occasione di una crisi bancaria. Le nuove regole sanciscono la necessità di chiedere agli azionisti e agli obbligazionisti di assumersi i costi del salvataggio di una istituzione finanziaria. Il pacchetto legislativo prevede la possibilità di eccezioni a livello nazionale, tanto che alcuni osservatori si interrogano sui rischi di segmentazione del mercato unico.

L’accordo prevede che azionisti e obbligazionisti vengano chiamati a contribuire alla ristrutturazione fino all’8% degli attivi della banca. Oltre a questo livello, ci si potrà rivolgere al futuro fondo di risoluzione, finanziato col denaro privato, per un ammontare fino al 5% degli attivi dell’istituto di credito. L’intesa entrerà in vigore tra il 2015 e il 2016. Le norme verranno utilizzate dal futuro meccanismo unico di gestione delle crisi bancarie, tuttora al centro di un acceso negoziato tra i Ventotto.
«Con queste nuove regole massicci salvataggi bancari con denaro pubblico e le loro conseguenze per i contribuenti saranno finalmente una abitudine del passato», ha detto il commissario al mercato unico Michel Barnier. Secondo dati della Commissione, tra il 2008 e il 2011 i governi dell’Unione hanno messo a disposizione delle banche fino a 4.500 miliardi di euro. Le nuove regole prevedono un contributo degli azionisti, degli obbligazionisti junior, e anche dei detentori senior di crediti non garantiti.
L’accordo raggiunto dal Parlamento e dal Consiglio deve ora essere fatto proprio autonomamente dalle due istituzioni perché l’iter legislativo si concluda formalmente. Secondo il testo dell’intesa, i singoli governi potranno considerare eccezioni al contributo delle diverse categorie di creditori alla ristrutturazione di una istituzione finanziaria, chiedendo tuttavia, volta per volta, l’autorizzazione alla Commissione, che può dare parere negativo.
Questo aspetto è stato chiesto da molti Paesi, nel timore che il salvataggio di una banca con denaro privato possa a un certo penalizzare le piccole e medie imprese, per esempio. Peraltro, il testo dell’accordo prevede che i depositi delle persone fisiche e delle società più piccole con più di 100mila euro avranno un trattamento preferenziale, subendo perdite solo alla fine di un lungo processo di selezione dei creditori. Invece, i depositi fino a 100mila euro saranno sempre salvaguardati.
Il testo riflette un difficile equilibrio tra la necessità di garantire regole omogenee e la richiesta di assicurare una certa flessibilità nazionale. Il timore di alcuni osservatori è che in ultima analisi il pacchetto possa creare distorsioni al mercato unico, proprio alla luce delle possibili eccezioni a livello nazionale. «Sia la Commissione che l’Autorità bancaria europea saranno chiamate a vigilare», assicurava ieri pomeriggio un esponente comunitario qui a Bruxelles.
Nelle trattative tra Parlamento e Consiglio si sono affrontate due visioni leggermente diverse. Ambedue le istituzioni sono convinte che sia necessario introdurre regole che impongano un contributo della mano privata, fosse solo per evitare l’azzardo morale nel mondo bancario, ma i deputati hanno chiesto e ottenuto un margine di manovra per permettere allo Stato di aiutare una banca in «circostanze eccezionali», sempre dopo un contributo privato pari all’8% degli attivi.
La sfida sarà di evitare che la scelta di chiedere l’intervento di azionisti e obbligazionisti nel caso di crisi provochi nervosismo sui mercati non appena vi saranno voci di difficoltà per una banca. L’accordo raggiunto la notte scorso giunge mentre i Ventotto stanno negoziando la nascita di un meccanismo unico di gestione delle crisi bancarie. Una riunione dei ministri delle Finanze martedì è terminata senza un esito definitivo, tanto che un nuovo vertice è previsto il 18 dicembre.
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