Assicurazioni, più credito alle Pmi

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Per fare credito alle imprese la banca non basta più. Per questo i mondi delle assicurazioni e del risparmio gestito si mettono a disposizione per fare la loro parte. A patto però di dotare il mercato finanziario di una equilibrata gamma di strumenti e di una fiscalità che renda economicamente conveniente investire nel patrimonio delle Pmi. Alcuni dei protagonisti della finanza italiana, intervenuti ieri a Milano a un convegno dal titolo «Il contributo del sistema finanziario e assicurativo al rilancio del Paese» organizzato da Deloitte e dal Sole 24 Ore, danno la loro ricetta per contribuire al finanziamento dell’economia reale. Ma come fare tutto ciò? Affinchè la raccolta del risparmio, effettuata da assicurazioni o altri intermediari finanziari, finisca alle imprese italiane non quotate, occorre anzitutto che, come suggerito da Fabio Cerchiai, presidente Febaf, vengano «ripensate le regole che impongono alle assicurazioni un alto assorbimento di capitale a fronte di investimenti poco liquidi e di maggior rischio». Nel contempo, però, «vanno anche promossi incentivi fiscali destinati agli assicurati che hanno tali asset in portafoglio, sull’esempio di quanto già realizzato in altri Paesi come la Francia». Per Cerchiai «le imprese italiane non quotate ottengono finanza all’80% attraverso il credito bancario: una percentuale che scende al 50 considerando la media europea, al 40 in Francia e al 30 in Gran Bretagna». I numeri dicono insomma che «difficilmente» dal nostro sistema bancario potranno arrivare risorse sufficienti a sostenere il rilancio delle imprese. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Aldo Minucci, presidente dell’Ania, che già nel corso della sua relazione annuale ha invitato le compagnie a un ruolo più attivo nel finanziamento alle imprese. Per Minucci, tuttavia, occorre anche frenare il «diluvio normativo» che pesa sulla rete e sottrae tempo agli agenti che invece «devono sviluppare la capacità relazionale con i clienti».

Sia chiaro. «Non si tratta di cannibalizzare il sistema tradizionale ma semplicemente di affiancarlo», fa eco Domenico Siniscalco, presidente di Assogestioni e capo di Morgan Stanley in Italia. Siniscalco fa notare che il canale tra un risparmio, che in Italia vale 8 volte il reddito disponibile, e il mondo degli investimenti c’è ma è «occluso». Per aprirlo vanno dunque «agevolati gli investimenti dei privati nel medio-lungo termine piuttosto che nel breve – aggiunge Siniscalco – e poi bisogna intervenire su un sistema finanziario su cui pesano le incertezze normative e l’arbitraggio tra i diversi paesi». Un mix di fattori che rende poco conveniente l’investimento in Italia da parte degli operatori esteri.

Un contributo alle imprese da parte delle assicurazioni potrebbe arrivare anche dal potenziamento di settori assicurativi di “nicchia”. A partire da quello delle polizze contro eventi catastrofali. In un comparto che è ancora troppo «dipendente» dall’Rc auto, «ciò avrebbe riflessi positivi sul mercato», spiega Aldo Minucci, presidente Ania, perchè «si ridurrebbero i costi di impatto dell’evento sulle imprese e sull’economia più in generale». Non solo. Un’altra occasione di business per le assicurazioni è determinata dalla crisi del welfare che, tra le tante conseguenze negative, ha determinato anche una riduzione degli investimenti diretti verso la sanità pubblica e «la conseguente necessità di integrare quanto offerto dal sistema sanitario pubblico», come segnalato in un messaggio inviato alla platea del convegno dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin. In questo senso «le assicurazioni, i fondi sanitari integrativi rappresentano una soluzione a questa tendenza e possono concorrere a garantire la sostenibilità del sistema sanitario nazionale».

Infine, sul tavolo del mondo assicurativo, rimane il capitolo dei debiti della Pa. Se da una parte «gli assicuratori non possono assicurare il rischio di default pubblico e quindi neppure i crediti della pubblica amministrazione», come denuncia Gianluca Garbi, ceo di Banca Sistema, dall’altra parte, per Alessandro Castellano, ceo di Sace, «se non cambia l’approccio» del sistema, il rischio è di «tornare con lo stesso problema» della lentezza dei pagamenti nel breve periodo.

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