Avete mai sentito parlare di Smart Beta?
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Partiamo da lontano: il desiderio di conoscere che cosa accadrà in futuro ha attraversato l’intera storia dell’umanità. Mentre nelle civiltà antiche veniva tributato grande rispetto ad aruspici e veggenti, oggi i protagonisti delle predizioni sono gli scienziati.

Non vi è dubbio che anche la finanza (per antonomasia la scienza dell’incertezza) sia da sempre alla ricerca di una “pietra filosofale” capace di trasformare nuove idee e nuove informazioni in oro. La gestione degli investimenti può infatti essere considerata come una “caccia al tesoro” per informazioni non note al mercato.

Negli anni ’70 del secolo scorso, Frank Cross (un consulente professionale) scoprì una buffa regolarità nell’investimento in azioni: l’effetto week-end. Sostanzialmente se si comprava ai prezzi di chiusura del lunedì e si vendeva ai prezzi di chiusura del venerdì, si avevano buone chances di guadagno. I mercati (proprio come persone) sono di buon umore il venerdì e molto meno il lunedì.

Questa extra-performance, però, con il passare del tempo, è andata decrescendo di anno in anno fino a diventare addirittura negativa (nella seconda metà degli anni ’90) e poi nulla negli anni più recenti. Sapete perché? Semplicemente si è diffusa troppo e l’anomalia è diventata pubblica. Quanto più i mercati sono efficienti nel fare proprie nuove informazioni, tanto più rapidamente ogni nuova idea viene digerita e “resa innocua”.

Così diceva il famoso economista Milton Friedman: ogni cosa ha il suo prezzo. E il prezzo dell’extra-rendimento è l’extra-rischio. Per guadagnare di più, bisogna rischiare di più.

Ad esempio, una strategia che ha mostrato una relativa persistenza nel tempo è quella detta (in gergo) di “momentum”: una strategia che sfrutta la propensione imitativa degli investitori (i quali tendono a scegliere titoli che si sono già rivelati vincenti nel passato). Quando il valore di un titolo è troppo accentuato verso l’alto o verso il basso, vuol dire che esso sta attraversando un momento di squilibrio accentuato in un senso o nell’altro e si approssima di conseguenza ad un evento eccezionale. In altre parole, maggiore è l’extra-rendimento delle fasi ascendenti, maggiore è anche extra-perdita delle fasi discendenti.

Partendo dal presupposto che non c’è rendimento senza rischio, negli ultimi decenni si è sviluppata una vasta ricerca finalizzata a isolare e identificare il rischio (e di conseguenza il rendimento).

Alcuni dei fattori di rischio identificati dalla ricerca empirica hanno origine in macroeconomia (fluttuazioni del ciclo economico o inflazione), altri derivano dalle caratteristiche dei titoli azionari (bassa o media capitalizzazione, basso o alto rapporto prezzo/utili ecc), altri ancora derivano dai comportamenti di mercato (come momentum, volatilità ecc).

L’identificazione dei fattori di rischio ha poi alimentato le c.d. strategie di factor investing, le quali consistono nel discriminare la scelta dei titoli in relazione alla loro sensibilità ad uno o più fattori di rischio. Una maggiore esposizione a quei rischi consente la ricerca di una maggiore extra-performance. L’applicazione meccanica di questi principi, ha dato vita alla nuova generazione di prodotti di investimento: i cosiddetti smart beta.

I portafogli in cui gli smart beta investono, sono sensibili a uno o più fattori di rischio pre-selezionati. Gli smart beta funzionano come un “GPS satellitare”: identificano le rotte possibili sulla base di coordinate precise (i fattori di rischio). Sono quindi strumenti di navigazione evoluti e potenti, ma non sostituiscono il “timoniere”. Dove deve andare la nave, alla fine lo decide sempre l’investitore.

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