Banche venete: crisi, liquidazione, polemiche e rivolte
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Ieri, la Bce ha dichiarato le due banche venete Popolare di Vicenza e Veneto Banca vicine al fallimento e si dovrà procedere con la liquidazione.

Tale liquidazione dovrebbe prevedere l’indennizzo al 100% per i piccoli investitori con bond subordinati in portafoglio (la stima è di circa 200 milioni) e tutela integrale ai titolari di bond junior.

Si evita in questo modo il bail in che avrebbe compromesso anche i possessori di obbligazioni senior nonché i depositi superiori a 100 mila euro.

Il Consiglio dei Ministri dovrà riunirsi per l’approvazione di un nuovo decreto in merito per dare via libera all’operazione che vedrà la separazione della parte ‘malata’ delle due banche e la parallela acquisizione degli attivi ‘sani’ da parte di Intesa Sanpaolo.

E’ in corso il lavoro di stesura del testo.

Tante le reazioni e polemiche sull’azione di ‘salvataggio’.

Quali sono i motivi che hanno portato alla crisi due istituti di credito popolari tra i più rilevanti?

Se, in generale, la crisi finanziaria globale iniziata nel 2008 ha coinvolto l’intero sistema bancario, in particolare, le popolari sono state soggette ad una trasformazione, nel  2016.

 

Banche venete da popolari a Spa

A gennaio 2016, la vigilanza è passata da Bankitalia alla Banca Centrale Europea ed è subentrato l’obbligo per le popolari di trasformarsi in Spa quotate in borsa: è stato chiesto ai piccoli imprenditori (120 mila soci per Popolare di Vicenza e 80 mila per Veneto Banca) di acquistare azioni in cambio di prestiti e, alla fine, gli stessi imprenditori probabilmente non sono stati più in grado di gestire la situazione.

Già nel 2016 (a primavera), le due banche hanno sfiorato il fallimento. La soluzione offerta dal fondo Atlante, con 3,5 miliardi di euro da usare per la ricapitalizzazione, poteva essere definitiva per cancellare oltre 10 miliardi di ricchezza andata in fumo e più di 200 mila azionisti, ma la pessima gestione proseguita tra Vicenza e Montebelluna non lo ha permesso ed ha ‘bruciato’ anche i soldi del fondo Atlante.

 

Dal tentativo di ricapitalizzazione alla liquidazione ordinaria

Un secondo tentativo di ricapitalizzazione precauzionale (per evitare la liquidazione delle due banche venete) proposto dal Tesoro con la richiesta di 1,2 miliardi provenienti da capitali privati non è andata a buon fine semplicemente perché non si è fatto avanti nessun investitore. Tutto ciò che ne è conseguito è cronaca.

La Bce dichiara Popolare di Vicenza e Veneto Banca in dissesto o rischio di dissesto dando il via alla liquidazione.

Tra la risoluzione con conseguente bail-in e liquidazione ordinaria gestita dalla Banca d’Italia, il governo ha scelto la seconda.

 

Intervento pubblico di oltre 4 miliardi

Le due banche venete vengono cedute ad Intesa Sanpaolo che, con l’offerta simbolica di un euro, deve preventivamente creare una bad bank dei crediti deteriorati (la stima è di 20 miliardi).

Il Tesoro interverrebbe per coprire il disavanzo di capitale conseguente al deterioramento dei suddetti crediti e per una simultanea ricapitalizzazione, prima del passaggio ad Intesa Sanpaolo.

L’impegno che graverà sulle finanze pubbliche è stimato complessivamente in oltre 4 miliardi.

 

Esuberi e conseguenze per azionisti e correntisti

Si è detto che con l’acquisizione di Intesa Sanpaolo si rischiano 4 mila esuberi: in realtà, 1.200 provengono dalle due banche venete mentre il resto riguarda Intesa Sanpaolo che, al momento, non prevede licenziamenti.

Il fondo esuberi dovrà quindi essere ricapitalizzato con circa 1,2 miliardi.

I correntisti non incontreranno problemi in questo passaggio e neanche chi ha chiesto un prestito a Popolare di Vicenza e Veneto Banca in quanto dovrà ripagare il debito ad Intesa.

Coinvolgendo i possessori di bond subordinati (esclusi i senior) ed azzerando gli azionisti, si potrà procedere a colmare le perdite.

Dubbi degli analisti, critiche in Italia

Il salvataggio da parte di Intesa Sanpaolo attraverso l’acquisizione di alcune attività che non impattino sul Cet1 e sui dividendi crea non pochi dubbi ad alcuni analisti: quelli di Banca Akros considerano tale operazione in contrasto con le regole della normativa europea Brrd, quindi questo ‘salvataggio’ potrebbe non ottenere l’ok europeo. Allo stesso modo la pensano gli analisti di Mediobanca e di Equita Sim.

Non mancano le critiche in Italia tra cui quelle mosse dal M5s che definisce l’acquisizione di Intesa come una concessione alla banca da parte del Governo di espandersi senza sostenere costi; quei costi che graveranno sui contribuenti.

Intesa esclude dall’acquisizione i crediti deteriorati, in bonis ad alto rischio, le partecipazioni ed i bond subordinati emessi, che finiranno in una bad bank.

Il mandato dell’amministratore delegato Carlo Messina si attiene alla necessità di non aggravare in nessun modo la situazione patrimoniale del gruppo garantendo il dividendo ai soci.

A partire dall’annuncio di tale acquisizione parziale, le azioni di Intesa Sanpaolo sono decollate guadagnando fino al 4%.

C’è  da capire chi si farà carico della bad bank, se il fondo di risoluzione, lo Stato o il fondo di garanzia dei depositi e se la Commissione europea autorizzerà il salvataggio delle due banche venete.

 

La rivolta di “Noi che credevamo nella BpVi”

Mentre si attende la convocazione del Cdm per l’approvazione del decreto in merito alla liquidazione delle banche venete, l’associazione “Noi che credevamo nella BpVi” è in rivolta.

L’avvocato Andrea Arman che rappresenta l’associazione annuncia il ricorso alla Procura della Repubblica di Roma definendo un decreto che interviene anche sulle obbligazioni un “atto contrario alla legge”.

Arman conclude affermando che “è stata posta in vendita una banca senza alcuna gara… l’offerta avanzata da Iccrea è un’evidente finzione visto che le Bcc non avrebbero mai acquistato reti bancarie tanto sovrapposte alle proprie”.

AGGIORNAMENTO del 25 giugno 2017

Il decreto legge per il salvataggio di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza ha il via libera.

Per evitare il “fallimento disordinato”, il governo opta per un intervento a favore di correntisti e risparmiatori: vengono prese misure in linea con le regole europee visto che anche la Commissione Europea le approva.

Le attività ‘buone’ verranno acquisite da Intesa San Paolo, i depositi restano protetti, i possessori di obbligazioni senior non contribuiranno al burden sharing, per i titolari di obbligazioni subordinate è previsto un ristoro dell’80% da parte dello Stato mentre la differenza sarà a carico di Intesa (pronta a sborsare fino a 60 milioni).

Il decreto legge mobilizza risorse per un totale di 17 miliardi con un esborso immediato di 5,2 miliardi (incorporati nel decreto salva-banche).

I restanti 12 miliardi sono a carico dello Stato (più o meno un costo di 700 euro per ogni singola famiglia italiana).

Con questo decreto vengono ‘salvati’ 50 miliardi di risparmi e protetti 2 milioni di clienti (tra cui 200 mila imprese).

Carlo Messina, CEO di Intesa Sanpaolo, assicura che l’integrazione delle due banche e relativi dipendenti verrà gestita senza alcun licenziamento bensì attraverso uscite volontarie.

 

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