Bankitalia, il Leone e l’opzione Cassa

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Chi – alla prossima assemblea Generali – eserciterà il voto sul 4,46% detenuto dalla Banca d’Italia? Il pacchetto – secondo a Trieste soltanto al 13,45% di Mediobanca – in più di un’occasione si è rivelato tutt’altro che «dormiente». L’ultima – era il 2008 – vide l’allora Governatore Mario Draghi agire di vigorosa “moral suasion” per imporre il rispetto stretto del «codice Draghi»in materia di governance (la rappresentanza effettiva delle minoranze nel collegio sindacale). Ma pochi anni prima era stato il predecessore di Draghi, Antonio Fazio, a esprimere una fragorosa astensione di Bankitalia alla convention 2001 del Leone: formalmente sul bilancio, sostanzialmente come segnale di disappunto per la rimozione di Alfonso Desiata dalla presidenza da parte di Mediobanca. Sia Fazio che Draghi si muovevano già allora sul filo sottile del conflitto d’interesse, ma certamente ben al di qua dalla situazione ormai maturata con il varo dell’Ivass. La nuova authrority assicurativa per legge ha come presidente il direttore generale della Banca d’Italia (oggi Fabrizio Saccomanni). Difficile pensare che a Palazzo Koch – e nei dintorni, a Roma – il dossier non sia già stato aperto, fra riserbo e smentite di rito. Un “blind trust” da manuale anglosassone non pare praticabile. Ciò che più si avvicina al profilo istituzionale della Banca d’Italia è forse la Cassa depositi e prestiti: controllata dal Tesoro (più volte evocato come possibile controllore della stessa banca centrale, al posto delle banche) e dalle Fondazioni, alcune delle quali azioniste dirette delle Generali ed esse pure azioniste “in pectore” di Via Nazionale in caso di applicazione della legge 262 del 2005.

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