Bce «L’Europa ringrazi e ora si muova»
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Acquisti di titoli, sia pubblici sia privati, per 60 miliardi di euro al mese, fino al settembre 2016. In totale, 1.080 miliardi di euro. Il Quantitative easing (Qe) della Banca centrale europea (Bce) è stato lanciato. Ma sono già molte le incognite. «È una misura oltre le aspettative, certo. Ma probabilmente serviva altro», dice Stephen King, capoeconomista di Hsbc. Concorda Fabio Balboni, che nel colosso bancario mondiale è capoeconomista con responsabilità europea.

Qual è la ricetta giusta per evitare che l’eurozona entri in una stagnazione totale? O meglio, basterà il Qe appena lanciato per risolvere l’attuale fase di crisi?
«Nel complesso, il Qe probabilmente avrà solo un moderato effetto positivo sulla crescita, largamente dovuto al deprezzamento dell’euro. Per risolvere invece i problemi di trasmissione della politica monetaria che affliggono ancora la periferia, altre misure potrebbero aiutare di più. Per esempio, un programma che permetta alla Bce di acquistare asset bancari di bassa qualità con una garanzia statale, in modo da ridurre il fardello dei prestiti a rischio sulle banche, soprattutto quelle italiane. Inoltre, come ha ripetuto più volte Draghi, è fondamentale che altre misure vengano intraprese dagli Stati insieme con le politiche monetarie della Bce: uno stimolo fiscale in quei Paesi che possono permetterselo, un importante piano d’investimento congiunto e il proseguimento di riforme strutturali cruciali per il futuro.
Domanda da un milione di dollari: l’eurozona è sull’orlo di una stagnazione secolare?
«Vorrei piuttosto concentrarmi sulle opportunità. La ricetta per evitare una stagnazione secolare prevede maggiore integrazione e condivisione di sovranità. La poca voglia della Germania di usare le flessibilità sul versante fiscale dimostra che, tuttavia, vi è una mancanza di responsabilità collettiva, che invece noi riteniamo fondamentale per il futuro dell’area euro. Questo vale anche per le regole fiscali dell’Ue, asimmetriche: non riconoscono le conseguenze negative sul livello della domanda aggregata di Paesi che superano gli obiettivi fiscali fissati, rendendo più difficile per gli altri raggiungere i propri.
Qual è il maggiore rischio oggi, dunque?
«Potrebbe arrivare non dal piano economico, ma da quello politico, con le diverse elezioni di quest’anno: a cominciare dalla Grecia, che resta in bilico dopo le consultazioni elettorali. In questo contesto, una maggiore coesione sarebbe cruciale per combattere il crescente sentimento anti-Ue in alcuni Paesi. Si può partire dal fatto che tutti i titoli di Stato acquistati durante il Qe rimangano sul bilancio della Bce, e non delle banche centrali di singoli Stati.
Una domanda sull’Italia. Il Paese può farcela a rinnovarsi?
«Credevo che la domanda da un milione di dollari fosse quella di prima! A parte gli scherzi, l’intervento congiunto sul fronte legale, con il Jobs act, e sul fronte fiscale, con tagli alle tasse e incentivi per le imprese che creano più lavori a tempo indeterminato, è certamente positivo. Ora è importante che tutti gli aspetti della riforma siano adottati rapidamente, e possibilmente estesi per renderla più efficace. Tagliare la spesa pubblica corrente è un altro punto cruciale per ridurre il deficit. È necessario per stabilizzare il livello del debito pubblico, senza innalzare le tasse».
L’Europa può aiutare?
«La via delle riforme è lunga. Durante questo processo l’Italia avrà bisogno del supporto dell’Ue, sia per ottenere flessibilità sull’applicazione delle regole fiscali, sia attraverso un piano concreto per promuovere maggiore crescita e investimento. In caso contrario, sarà difficile mantenere il sostegno dell’opinione pubblica per le riforme».

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