Bene restituito e non ancora venduto? Improponibile la domanda ex art. 1526 c.c.

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LeasingTribunale di Milano, 3 dicembre 2014

Con sentenza del 27 novembre 2014 pubblicata in data 03.12.2014, il Tribunale di Milano è tornato ad affrontare alcune delle principali questioni di diritto che continuano ad infuocare le aule di giustizia, e segnatamente: usurarietà degli interessi di mora ed applicabilità dell’art. 1526 c.c. in ipotesi di risoluzione del contratto di leasing.

La vicenda giudiziale muove le premesse dall’intervenuta risoluzione di un contratto di leasing, con conseguente restituzione del bene.

In tale contesto, l’utilizzatore ha eccepito, in primis, l’usurarietà degli interessi di mora e, poi, l’applicazione in via analogica dell’art. 1526 c.c. al fine di ottenere la restituzione dei canoni versati, dedotto l’equo compenso.

Quanto alla primo profilo di criticità, il Tribunale meneghino ha affermato che: “Quand’anche si volesse ritenere che anche gli interessi di mora debbano essere rispettosi del limite legale antiusura, tesi per la quale sussiste ancora incertezza giurisprudenziale in assenza di una previsione legislativa specifica al riguardo e che possa determinare per tali interessi una specifica soglia, quest’ultima deve venire calcolata con i criteri dettati dai decreti trimestrali, con la maggiorazione pari a 2,1 punti percentuali, secondo la stessa Banca d’Italia e la sua nota di chiarimento in materia di applicazione delle legge antiusura del 3.7.13″.

La risposta, secondo la tesi del Giudice adito, trova conforto nell’esatta interpretazione della sentenza della Cassazione n. 350/13, secondo cui: (i) “tale sommatoria al fine di verificare il superamento del tasso soglia non è mai stata ritenuta legittima dalla Suprema Corte, nella misura in cui il tasso corrispettivo e quello di mora hanno funzione e natura e applicazione del tutto diversi”; (ii) “la previsione della cd clausola di salvaguardia convenuta tra le parti all’art. 11 evita (…) che il conteggio degli interessi di mora possa sforare dal tasso soglia. in quanto, nel caso, lo riporta automaticamente al di sotto del limite legale”

Per quanto riguarda, invece, la seconda delle eccezioni sollevate dall’Utilizzatore, il giudice milanese ha tenuto a precisare che, anche a voler condividere al tesi dell’applicazione in via analogica dell’art. 1526 c.c., se non è dato sapere “quale possa essere il ricavato dalla vendita del bene o dal suo riutilizzo, secondo il valore commerciale che il bene abbia allo stato, manca un presupposto essenziale per applicare la disciplina pattizia regolante gli effetti dell’anticipata risoluzione del contratto convenuta fra le parti, con la prevista compensazione della posizione debitoria dell’utilizzatrice con le somme ricevute in utile dalla concedente e la possibilità di riattribuzione dell’eccedenza eventuale al debitore stesso, che sola possa fare apprezzare se sussista un indebito vantaggio in favore della società finanziaria che giustifichi la sostituzione della disciplina legale a quella contrattuale, e quindi il ricorso alla norma di cui all’art. 1526 cc”.

Di tal ché, qualora a seguito della risoluzione contrattuale il bene concesso in leasing sia stato restituito alla concedente, ma non venduto, la domanda giudiziale di applicazione in via analogica dell’art. 1526 c.c. non può essere accolta.

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