Bene se pagano le banche ma attenzione agli interessi

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L’operazione Tfr in busta paga alla fine prende il via. Analizzati i pro e i contro il Governo ha deciso di rompere gli indugi e mandare in soffitta quel residuato bellico che è il “salario differito” proprio mentre s’accinge, con una manovra espansiva, a finanziare la riforma degli ammortizzatori sociali. Secondo quanto si sa per ora, in attesa di leggere il testo del provvedimento, si tratterebbe di una misura su base volontaria che scatterà a metà 2015 per andare avanti fino al 2018. Poi si vedrà come procedere. Potranno partecipare tutti i lavoratori del privato che hanno un Tfr, compresi quelli che hanno già aderito a un fondo di previdenza integrativa. L’obiettivo dichiarato è talmente semplice che è difficile non condividerlo: fine dello Stato paternalistico e piena responsabilizzazione dei lavoratori sull’utilizzo di tutto il loro reddito. Bene. Ma a questo punto bisogna entrare nei dettagli.
Il primo: chi paga? S’è detto le banche, che anticipano il flusso di reddito aggiuntivo nelle buste paga con la doppia garanzia Inps-Stato (o Inps-Cdp) sul rimborso che avranno dalle imprese al momento della cessazione del rapporto di lavoro. A stabilire le modalità di funzionamento dell’operazione sarà una convenzione Abi-Mef in cui, tra l’altro, si definiranno gli oneri delle transanzioni. Stando alle anticipazioni e alla logica le banche che anticiperanno alle imprese le risorse per pagare il Tfr in busta paga avranno la stessa remunerazione che oggi viene garantita al Tfr in azienda (1,5% annuo più lo 0,75% del tasso d’inflazione). Si tratta di capire se a questo costo non se ne aggiungeranno altri, legati, per esempio, allo smobilizzo del capitale.
Secondo: che fine fa la previdenza integrativa? Liberalizzare significa responsabilizzare, è vero. Ma è anche vero che per scegliere se usare queste risorse aggiuntive per rilanciare i consumi o per nuovo risparmio previdenziale bisogna essere davvero bene informati. E purtroppo una buona informazione finanziaria e sul valore del risparmio pensionistico – in un Paese che si vanta d’aver per primo in Europa abbracciato il sistema contributivo puro per le sue pensioni – ancora non c’è. E dunque sarebbe il caso di accompagnare questa “operazione Tfr” con una vera campagna di informazione nazionale sul tema della previdenza.
Terzo: addio al Tfr perché arrivano i nuovi ammortizzatori sociali? Anche in questo caso, bene ma se tutti i dettagli torneranno. Bisogna vedere quale sarà la dote vera messa sui nuovi ammortizzatori, quali oneri contributivi finali dovranno sostenere le imprese (oltre ai fondi per la solidarietà bilaterale ci sarà altro?), come si pagheranno, per esempio, i contratti di ricollocamento. Il conto del dare e dell’avere è complesso e resta da studiare, anche dopo la buona notizia del taglio all’Irap e la decontribuzione sui futuri contratti a tempo indeterminato.

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