I tempi non sono strettissimi, ma certo i prossimi sei mesi saranno impegnativi per le Popolari oggetto del decreto del Governo di martedì scorso. La partita si giocherà su un doppio binario: da una parte l’impegno a «non lasciare niente di intentato per bloccare il decreto» come preannunciato da Assopopolari, dall’altra la valutazione di tutte le opzioni per poter rafforzare le banche e renderle prede meno facili.
Ieri in Borsa, comunque, il mercato ha continuato a premiare i titoli con acquisti. In particolare si è distinta la Banca Popolare di Milano con un incremento di quasi il 2,2%. D’altra parte è anche l’istituto ritenuto più appetibile nel caso la trasformazione in Spa andasse in porto. Bpm porterebbe in dote una rete di oltre 700 sportelli, con una forte presenza in Lombardia e un radicamento sul territorio. Caratteristiche che l’hanno già resa interessante, nonostante il voto capitario, per un investitore istituzionale come InvestIndustrial di Andrea C. Bonomi. E proprio Bonomi potrebbe rifarsi avanti per attuare finalmente quel rilancio della banca che aveva tentato un paio di anni fa in tandem con l’allora ad Piero Luigi Montani. Proprio quest’ultimo, ora alla guida di Carige, ha dato adito a rumours su un possibile matrimonio sull’asset Milano-Genova. Di certo nei progetti di Bonomi c’era già al primo investimento in Bpm l’idea di fare della banca un polo aggregante e non una preda.
Gli occhi del mercato sono, però, puntati sulle mosse di Ubi, piatta ieri in Borsa. Ubs, ad esempio, la indica come polo aggregante in ragione dei suoi risultati di bilancio. È anche vero, comunque, che altri guardano in Veneto al Banco Popolare (+1,22% ieri). Ad ottobre, prima degli esiti degli stress test, l’ad del Banco Popolare, Pier Francesco Saviotti, aveva dichiarato: «Se potessi scegliere» l’istituto preferito con cui fondere il Banco Popolare «indicherei la Bpm».
In generale per il settore uno studio di Mediobanca aveva stimato sinergie pari al 20-35% della capitalizzazione a seconda delle combinazioni. Percentuale che poteva salire fino al 45% in caso si nascita di una «mega popolare». Nel dettaglio un’unione Ubi-Creval (quest’ultima -0,75% ieri), ad esempio, avrebbe generato sinergie per il 20% della capitalizzazione combinata dei due istituti. Le sinergie scenderebbero, invece, al 15% in un’unione Bper-Bpm.
Per ora, però, si tratta solo di un esercizio di astrazione. Non esistono, al momento, ancora mandati a banche d’affari per studiare operazioni concrete, anche se delle esercitazioni sul tema sono nei cassetti da tempo e aspettano solo di essere tirate fuori. Le proiezioni vengono fatte a bocce ferme, ma la vera incognita da considerare, spiegano alcuni advisor, è quella dell’azionariato. Le aggregazioni prima della trasformazione in Spa rafforzano le banche, ma portano con sé la mancanza di informazioni certe sui soci. E un consolidamento al buoi resta, comunque, poco appetibile.
Gli occhi del mercato sono, però, puntati sulle mosse di Ubi, piatta ieri in Borsa. Ubs, ad esempio, la indica come polo aggregante in ragione dei suoi risultati di bilancio. È anche vero, comunque, che altri guardano in Veneto al Banco Popolare (+1,22% ieri). Ad ottobre, prima degli esiti degli stress test, l’ad del Banco Popolare, Pier Francesco Saviotti, aveva dichiarato: «Se potessi scegliere» l’istituto preferito con cui fondere il Banco Popolare «indicherei la Bpm».
In generale per il settore uno studio di Mediobanca aveva stimato sinergie pari al 20-35% della capitalizzazione a seconda delle combinazioni. Percentuale che poteva salire fino al 45% in caso si nascita di una «mega popolare». Nel dettaglio un’unione Ubi-Creval (quest’ultima -0,75% ieri), ad esempio, avrebbe generato sinergie per il 20% della capitalizzazione combinata dei due istituti. Le sinergie scenderebbero, invece, al 15% in un’unione Bper-Bpm.
Per ora, però, si tratta solo di un esercizio di astrazione. Non esistono, al momento, ancora mandati a banche d’affari per studiare operazioni concrete, anche se delle esercitazioni sul tema sono nei cassetti da tempo e aspettano solo di essere tirate fuori. Le proiezioni vengono fatte a bocce ferme, ma la vera incognita da considerare, spiegano alcuni advisor, è quella dell’azionariato. Le aggregazioni prima della trasformazione in Spa rafforzano le banche, ma portano con sé la mancanza di informazioni certe sui soci. E un consolidamento al buoi resta, comunque, poco appetibile.