DL banche, pmi affossate
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Il governo usa la mano pesante nel mondo delle banche. Pochi giorni appena sono passati da quando l’esecutivo ha deciso di agire in maniera radicale sul mondo creditizio e non solo. Tutto al fine di creare quella accelerata del credito alle aziende tanto agognata.

Il credito all’economia reale è giustamente ritenuto uno dei pochi elementi catalizzatori di una possibile ripresa del sistema Paese, che faccia finalmente rifuggire l’Italia dalla stagnazione del pil e da tutte le conseguenze che ne derivano (prima fra tutte il vero rischio micidiale rappresentato dalla deflazione).

L’ultimatum di 18 mesi concesso alle prime dieci banche cooperative italiane (quelle infatti con attivi superiori a 8 miliardi di euro, ossia: Popolare di Milano, Ubi, Banco Popolare, Bper, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Credito Valtellinese, Popolare di Sondrio e Popolare di Bari) di trasformarsi in società per azioni, certifica una precisa volontà governativa, ma a conti fatti non sembra risolvere assolutamente la questione del credito. Anzi. «Sebbene le Piazze europee e quella italiana abbiano festeggiato con balzi percentuali delle banche interessate anche notevoli, gli italiani hanno ben poco da festeggiare», dichiara il presidente del Cnai, Orazio Di Renzo, «i picchi azionari di questi giorni a piazza Affari dovrebbero essere un campanello di allarme fin troppo chiaro: i grandi centri di investimento stanno scorgendo un’ottima opportunità di guadagno; il tornaconto per l’economia reale è però una questione tutta da dimostrare».

Nel decreto presentato dal consiglio dei ministri del 20 gennaio sono apparse una serie di modifiche del mondo bancario e non solo.

Tra queste, la trasformazione dello stato giuridico delle banche popolari rappresenta sicuramente l’elemento più significativo, ma non certo l’unico. In attesa che il futuro capo dello stato si insedi sullo scranno quirinalizio, apponendo la propria firma, per ora ci si trova a fare i conti con un decreto che, come detto, ha tra i suoi obiettivi far sì che «la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese e favorisca la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti», come sostiene Palazzo Chigi, mediante l’apertura di nuovi canali di finanziamento per le imprese e la portabilità dei conti correnti bancari a costo zero.

E ancora: attraverso la creazione di una società pubblica (l’ennesima) per il salvataggio delle imprese che attraversano periodi limitati di crisi di produttività, il rafforzamento dei processi messi in atto dalla legge Sabatini (indirizzata all’acquisto di macchinari innovativi). Si metterà mano anche alla Sace (l’istituto che regola i crediti alle esportazioni delle imprese italiane): da semplice entità assicuratrice della concessione di crediti, secondo le idee del ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, diventerà capace di interagire direttamente con la Banca d’Italia per ottenere l’autorizzazione a intervenire in maniera diretta nel credito, potendosi trasformare in una banca adibita alla realtà dell’import e dell’export.

«Entusiasmanti clamori da conferenza stampa a parte», incalza il presidente Di Renzo «la clamorosa attività dell’esecutivo che vuole spingere in maniera forzosa verso una internazionalizzazione del sistema creditizio, sembra però dimenticare sistematicamente il vero motore dell’economia italiana».

Le microimprese, infatti, sono escluse dalle modifiche apportate dal governo agli organismi di investimento collettivo: sarà per loro impossibile godere dei finanziamenti mediante prestiti diretti; quindi una norma che sembra essere stata concepita esclusivamente per le grandi realtà imprenditoriali.

«Nel nostro paese spesso chi è al potere dimentica da dove nasca l’eccellenza italiana: all’Estero guardano con sempre enorme ammirazione la grandezza delle produzioni di qualità della nostra realtà artigianale e industriale. Grandi produzioni realizzate però quasi totalmente dalle piccole o piccolissime imprese, molto spesso a conduzione famigliare. Vi dirò di più: gli investitori esteri sono sempre più che disposti, quasi con brame “colonizzatrici”, a carpire il nostro know-how. Tutto ciò perché riconoscono l’assoluto valore della nostra piccola imprenditoria: il nostro governo sembra favorire l’avanzata delle acquisizioni straniere», interviene ancora il presidente Di Renzo, «manovre di questa risma non fanno altro che intaccare il tessuto connettivo stesso della nostra economia; un attacco senza precedenti al radicamento sul territorio, a quella conoscenza delle realtà locali che solo le cooperative virtuose sono capaci di cogliere, a quei taciti processi delle piccole realtà che solo chi è bene radicato nei contesti regionali è capace di interpretare».

Una prima conseguenza inevitabile dell’intervento sulle popolari (questione tecnica e assolutamente inopinabile) coinvolgerà l’esistenza stessa delle banche popolari per come le conosciamo oggi. Infatti verranno sostanzialmente agevolate le scalate e le fusioni. Venendo meno il voto capitario (il diritto di voto degli azionisti/soci è indipendente dal numero di azioni/quote detenute) diventerà impossibile fermare scalate che prima erano facilmente arginabili dalle assemblee dei soci. La trasformazione in spa, piuttosto che attirare finanziamenti anche esteri (data l’odierna situazione economica, caratterizzata da un’elevata depressione dei prezzi) saranno gli hedge fund e gli speculatori finanziari a racimolare in breve tempo i pacchetti azionari decisivi delle popolari, ottenendo la maggioranza del capitale e, quindi, il controllo.

Si andrà a perdere completamente il ruolo delle banche sul territorio e il loro supporto all’economia locale: i grandi speculatori che acquisiranno con ogni probabilità i pacchetti azionari, non sono interessati ad altro che al mero profitto; rastrellano azioni col solo scopo di rivenderle, con buona pace delle famiglie o delle giovani coppie che necessitino di accendere un mutuo per la loro prima casa o un’azienda in difficoltà che debba chiedere una linea di credito. Abbiamo già imparato che la finanza speculativa è un mostro senza morale e priva del benché minimo interesse nell’economia reale.

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