Bpm Verso la rivoluzione di maggio

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Il 30 aprile è un mercoledì. Mancano 72 giorni. In questo breve arco di tempo la Banca Popolare di Milano proverà per l’ennesima volta a cambiare volto, passando attraverso tre diverse tappe. La prima è fissata l’11 marzo, quando verrà licenziato il bilancio dell’esercizio 2013, atteso in utile. Il 19 aprile è invece fissata l’assemblea ordinaria dei soci che dovrà approvare e mandare in archivio il bilancio. Mentre il 30 aprile scadrà l’accordo di pre-underwriiting con un pool di banche d’affari per il lancio dell’aumento di capitale da 500 milioni di euro, già deliberato dall’assemblea. Sui tre punti vale la pena di soffermarsi, anche se oggi tutta Bpm è un cantiere. Infatti, l’uscita dal capitale e dalla stanza dei bottoni di Andrea Bonomi (attualmente impegnato ad acquisire dalle Assicurazioni Generali la svizzera Bsi: sono alla data room ), ha rasserenato gli animi e oggi le varie componenti della banca stanno ragionando su una ipotesi di revisione dell’attuale governance che procede, tra molti ostacoli, abbastanza speditamente.

Un’ipotesi di lavoro che fonti vicine ai vertici di Bpm indicano come market friendly , ovvero disponibile ad accogliere alcune delle istanze rappresentate dal mercato. La rappresentatività dei fondi è tra queste. C’è chi suggerisce un lock-up in cambio di una maggiore attenzione alle esigenze dei professionisti dell’investimento, ma non è chiara se l’indisponibilità temporale delle azioni possa essere sostenibile. Di certo Bpm sta marciando verso una maggiore apertura al mercato.
Scadenze
Il cantiere governance è, tra tutti, il più delicato. Marcherà indelebilmente il futuro della banca, che non può più resistere com’ era. Su questo vi è ampia convergenza, va capito a cosa porterà. I più ottimisti individuano addirittura la possibilità, oggi non espressa, che l’assemblea del 19 aprile, il sabato di Pasqua, si trasformi prima della convocazione in straordinaria, aprendo così le porte a una rapida mutazione della governance che deve necessariamente ottenere il placet dei soci. Sarebbe una straordinaria proiezione in avanti per una banca di grandi e inespresse potenzialità, perché consentirebbe di avviare l’aumento di capitale con un concreto segnale di attenzione ai mercati. Ovvero, l’accogliere le richieste degli investitori potrebbe giocare a favore nel momento stesso in cui si andrà a chiedere, proprio a quegli investitori, di mettere soldi nell’istituto di Piazza Meda. Non è detto che ci si riesca, i tempi sono estremamente compressi, ma l’occasione è ghiotta. Lo sa bene il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Dino Piero Giarda. Tanto più che non vi è alcuna intenzione di spostare in avanti l’operazione di aumento di capitale. Il consigliere delegato Giuseppe Castagna lo ha detto chiaramente: Bpm non intende prorogare l’accordo con il consorzio di garanzia in scadenza il 30 aprile. Dunque, entro quel giorno, partirà l’aumento.
Tutti in fila
Nella volontà di non rinviare, espressa da Castagna, si leggono almeno due buone motivazioni. La prima è fattuale: Bpm ha bisogno di quell’ aumento per allinearsi ai criteri di solidità richiesti dalla Vigilanza europea alle maggiori banche italiane. Ma ora si apre la corsa alla cassa. Ovvero al mercato. Si è già mosso il Banco Popolare, con una operazione da 1,5 miliardi. Dovranno farlo Bpm (0,5 miliardi), Carige (0,7), Mps (3). Ma altre banche seguiranno. E trovare accoglienza per tutte non sarà semplice. Perciò fare presto è importante, anche perché Bpm, fatto salva la forma cooperativa, punta a presentare rapidamente un volto nuovo alla Banca d’Italia al fine di sostenere la rimozione degli add-on , ovvero delle maggiori ponderazioni delle attività di rischio imposte da via Nazionale, che valgono circa 8 miliardi di euro. Se quei vincoli venissero rimossi, il Core tier 1 di Bpm passerebbe dall’attuale 7,25 per cento al 10,3 per cento.
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