C’è l’ipotesi Ubi nel futuro del Monte

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Messi alle spalle gli esami della Bce, sul mercato creditizio domestico restano diverse partite da sistemare. La più importante, perché riguarda il terzo istituto del Paese, vede protagonista il Monte dei Paschi di Siena. Quale sarà il futuro della più antica banca al mondo?

Fabrizio Viola e Alessandro Profumo, amministratore delegato e presidente di Mps, stanno lavorando intensamente per garantire un futuro stand alone all’istituzione senese. Ma il rovesciamento di troppi paradigmi bancari, la debolezza di una Fondazione depredata da gestioni ottuse e una debolezza del mercato interno, rendono plausibile ogni ipotesi. Dall’arrivo di un cavaliere bianco con le insegne di un gruppo bancario straniero, fino a un salvataggio italiano, se di salvataggio si dovrà parlare.
Di sicuro, tutto il sistema creditizio si trova oggi a fare i conti con l’ennesimo fattore nuovo: un vuoto di potere nelle visioni strategiche che non ha uguale nel passato. Manca il suggeritore, l’architetto del futuro. I consigli della Banca d’Italia, un tempo sussurrati, oggi se ci sono vengono dispersi nel vento. Via Nazionale non è più quella che era e non è ancora quella che sarà.
Nel tempo di mezzo si è creato un vuoto che la Banca centrale europea e i suoi ottimi funzionari non hanno ancora riempito di strategie e di progetti. Resta il mercato, come unico e anonimo punto di riferimento. E allora può accadere di tutto.
Profili
Mps fa gola, ma è sovraccarica di difficoltà. Manca di capitale, è necessario provvedere rapidamente a un aumento per qualche altro miliardo di euro e gli azionisti hanno già dato, i piccoli sono insofferenti. Dispone di una rete agenziale presente in tutta Italia, ma anche di una ridondante struttura centrale a Siena, con qualche migliaio di dipendenti. Inoltre, i portafogli crediti appaiono ammalorati, addirittura più che altrove.
Le grandi banche italiane si voltano dall’altra parte. Unicredit appare interessata all’Est Europa, non all’Italia. Intesa Sanpaolo lo ha detto chiaramente, meglio l’estero e comunque non per strutture retail , meglio invece puntare su strutture snelle nel campo del private e dell’ investment banking .
Dossier
Allora resta solo Ubi sul mercato italiano, l’unica che può iniziare a pensare a un progetto del genere. Ma in che termini? Sulla scrivania di Victor Massiah, al momento, non c’è alcun dossier e l’amministratore delegato del gruppo lo ha fatto intendere in qualche occasione: potrebbe essere solo una questione di prezzo. Di certo Ubi non sarà interessata a una corsa al rilancio, anche perché l’eccedenza finale dopo tutti gli esami della Banca centrale europea è di «soli» 1,76 miliardi di euro, contro una carenza di 2,11 miliardi per il Monte, ma ciò non giustificherebbe in alcun modo manovre avventate.
Ubi, che recentemente la rivista The Banker ha indicato come miglior banca dell’anno in Italia, potrebbe fare il grande passo, ma a quali condizioni? C’è chi ipotizza un’operazione simile a quella di Fiat con Chrysler. Ma è certamente una situazione difficile da far digerire a Siena, che vive in maniera possessiva il proprio rapporto con l’istituto di credito. Così ci sono anche altre opportunità, riconducibili alla più ampia ipotesi del cosiddetto «spezzatino».
Ubi praticamente non è presente in Toscana, né nel Nordest d’Italia. In quest’area sono iniziati i guai del gruppo senese, quando nel 2007 acquistò l’Antonveneta dal Santander che l’aveva a sua volta rilevata dagli olandesi di Abn Amro. Per anni le attività in quest’area sono state tenute impacchettate da Siena in una spa che sembrava pronta alla vendita. Oggi, dopo la non lontana fusione di Antonveneta in Mps, a Siena sono rimaste 4 agenzie in Trentino-Alto Adige, 59 in Friuli-Venezia Giulia e 288 in Veneto. Un totale di 351 agenzie. Sarebbero ideali per completare il mosaico italiano di Ubi. Ma a che prezzo?
Le mosse
Tocca a Siena muovere per prima e ancora, al momento, si vogliono privilegiare altre strade. L’indipendenza del Monte dura da 542 anni ed è un concetto a cui è difficile rinunciare. Ma occorre fare rapidamente i conti con la realtà, con un aumento di capitale incombente e con un conto economico che, di trimestre in trimestre – sotto, una sintesi –, non accennano a miglioramenti stabili. Al 30 settembre scorso le perdite del Monte dei Paschi di Siena ammontavano a 1,15 miliardi di euro.

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