Centomila dollari è il riscatto pagato da Uber ai cybercriminali che hanno hackerato il sistema di sicurezza
Arrivano le prime confische di auto utilizzate per il servizio Uber

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Oltre a mail e numeri di telefono, sarebbero stati rubati i numeri di patente di oltre 600mila utenti americani.

L’azienda, pur non smentendo l’accaduto, sta provando a calmare le acque. Secondo la compagnia americana non sarebbero stati rubati dati “estremamente sensibili”, come i numeri di carta di credito, quelli di previdenza sociale, e la mappa degli spostamenti della clientela. Non solo. Uber, con un versamento di 100mila dollari (illegale negli Stati Uniti d’America), avrebbe pagato il riscatto ai cybercriminali, con la promessa che tutti i dati rubati sarebbero stati immediatamente cancellati. Peccato che la compagnia americana non abbia ancora svelato l’identità dei cybercriminali a cui avrebbe pagato il riscatto. Qualcosa puzza di marcio.

Ma non è la prima volta che Uber viene coinvolta in una vicenda simile. Nelgennaio 2016, il ministero della Giustizia di New York ha condannato l’azienda al pagamento di una multa di 20mila dollari. Il motivo? Secondo la giustizia statunitense, Uber avrebbe subito una violazione hacker nei primi mesi del 2014. Attacco che, ancora una volta, sarebbe stato taciuto dai vertici dell’azienda, mettendo a rischio la privacy di milioni di utenti. Dopo l’attacco, il CEO dell’azienda Travis Kalanick è stato costretto a dimettersi e Uber ha patteggiato con FTC.

“Mentre non posso cancellare il passato, posso impegnarmi a nome di tutti i dipendenti di Uber che impareremo dai nostri errori”, giura il nuovo CEOdell’azienda Dara Khosorowshahi. Per garantire una maggiore sicurezza della privacy degli utenti, Uber ha instaurato una partnership con Mandant, un’azienda specializzata in cyber-sicurezza. Non solo. La compagnia americana ha assunto Matt Olsen come consulente per la sicurezza. L’ex consigliere generale della NSA e direttore del National Counterterrorism Center, farà dormire agli utenti di Uber sogni tranquilli. O almeno è quello che sperano dall’azienda.

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