Come investire al meglio in Borsa Valori
A seconda che l’esigenza di investimento sia diretta a conservare il valore del capitale, per avere la sicurezza di affrontare le spese attuali, oppure diretta ad elevarne il valore nel tempo, al fine di conservare il proprio tenore di vita anche in futuro, le risorse devono essere impiegate secondo differenti profili di rischio e rendimento.
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A seconda che l’esigenza di investimento sia diretta a conservare il valore del capitale, per avere la sicurezza di affrontare le spese attuali, oppure diretta ad elevarne il valore nel tempo, al fine di conservare il proprio tenore di vita anche in futuro, le risorse devono essere impiegate secondo differenti profili di rischio e rendimento.

Realizzato questo, potrebbe sembrare che manchi solo di cercare nel dettaglio gli strumenti sul mercato. In realtà, partire dai prodotti porterebbe, con tutta probabilità, ad effettuare scelte errate. Ognuno di essi, infatti, risente dei comportamenti del gestore o comunque di fattori particolari, inerenti al mercato, non facilmente valutabili ex ante, che costituiscono il cosiddetto “rischio specifico”.

Prima di scegliere i prodotti è necessario definire l’investimento: infatti i singoli prodotti possono essere valutati solo se confrontati con i mercati di riferimento. Lo strumento che descrive il mercato o l’insieme dei mercati in base alla strategia scelta è il benchmark il quale è composto da un insieme di indici che rappresentano i mercati nei quali si ha interesse ad operare, e che quindi rappresenta l’elemento che consente di valutare il grado di coerenza del portafoglio da costruire, e rende possibile confrontarne il comportamento.

La scelta dei prodotti di per sé risulta perciò meno importante di quanto si possa immaginare. Prima di ogni cosa, è veramente importante valutare alcuni aspetti che influenzano direttamente il grado di efficienza e di efficacia della strategia scelta. Solo dopo è possibile procedere alla scelta dei prodotti, che nel loro complesso andranno a costituire l’elemento operativo della strategia, e che dovranno rappresentare l’unione funzionale e sinergica ad essa più aderente.

Efficacia ed efficienza del benchmark

Perciò, la prima cosa da valutare è appunto l’efficacia del benchmark, il cui grado di rischio può essere considerato almeno a due diversi livelli di valutazione, e cioè:

a) il rischio potenziale implicito, quantificabile attraverso l’osservazione delle oscillazioni delle performance mensili storiche, rilevate in un arco temporale adeguato (almeno 60 mesi). Lo strumento statistico più comunemente utilizzato a questo fine è la deviazione standard, la quale misura appunto quanto le singole oscillazioni mensili divergono dalla loro media: più le singole oscillazioni risultano distanti da essa, maggiore è il rischio totale dell’investimento. Sommando e sottraendo alla media aritmetica la deviazione standard, si ottiene la zona di oscillazione delle performance mensili del benchmark.

b) il rischio di perdita. L’atteggiamento più comune dell’investitore è l’avversione alle perdite. Tale atteggiamento è peraltro comprensibile, se non fosse che presenta anche aspetti contraddittori. E’ stato statisticamente rilevato come, quando si tratta di investire nella prospettiva di realizzare guadagni, per la maggior parte dei risparmiatori il rischio sia un elemento da considerare con cautela. Mentre invece, durante le flessioni dei mercati tale avversione viene meno, e gli stessi investitori dimostrano maggiore disponibilità a correre ulteriori rischi, pur di evitare di riportare perdite.

Tutto ciò la dice lunga sull’aspetto psicologico e non razionale della questione. L’avversione al rischio non rappresenta quindi una razionale scelta di criterio gestionale, ma l’atteggiamento che l’interessato dimostra verso di esso. Si comprende come la questione rivesta particolare rilevanza, in quanto fa dipendere la scelta dello stile di investimento dall’interpretazione personale del rischio: se cioè il rischio di perdita è interpretato come probabilità oggettiva di realizzare un risultato inferiore al capitale inizialmente investito, oppure se esso è interpretato come possibilità di realizzare la massima perdita assolutain un determinato arco temporale.

Nel primo caso, considerando la probabilità oggettiva della perdita sul capitale iniziale, si dovrà cercare di individuare il benchmark più efficiente rispetto al risultato atteso, accettando l’assunto che all’aumentare del periodo di tempo, la probabilità di perdita si riduce più che proporzionalmente (cosa del resto rilevabile dall’osservazione storica degli investimenti in generale). 

Nel secondo caso, laddove viene considerata la probabilità di perdita massima assoluta, il benchmark va scelto in rapporto alla soglia di tolleranza psicologica; perciò va individuato innanzitutto il potenziale di perdita massima che il benchmark può conseguire in un determinato periodo di tempo, e qualora questo risultasse compatibile con il proprio grado di tolleranza, accettarlo come un elemento fisiologico dell’investimento. Ciò consente di resistere al panico, in caso di crollo dei mercati, evitando di abbandonare l’investimento nel momento peggiore, e subire così forti perdite.

Riguardo all’efficienza, il benchmark va valutato in base alla sua potenziale capacità di remunerare il rischio. L’efficienza è data dal rapporto tra il rendimento del benchmark (media aritmetica delle performance mensili reali) e il rischio (deviazione standard, ovvero il grado dell’oscillazione delle singole performance mensili intorno alla propria media, come abbiamo visto). Tecnicamente, questo rapporto viene nominato trade-off.

L’efficienza del benchmark deve essere costante nel tempo. Per valutare oggettivamente questo elemento, bisogna osservare per un numero di periodi sufficientemente ampio (almeno 60 mesi), l’allineamento dei valori della deviazione standard e dei rendimenti in diversi scenari di mercato: se la media dei rendimenti è positiva, e se il rendimento ottenuto in ciascun periodo osservato è proporzionale al rischio, possiamo assumere il benchmark come efficiente. Se invece in tutti i periodi analizzati non sembra esistere alcuna relazione stabile tra le variabili rischio e rendimento, allora dobbiamo concludere che il benchmark è inefficiente.

Inutile dire che effettuare simili valutazioni, per motivi tecnici, richiede l’apporto di un professionista. Fin qui, però lo scopo è stato di rendere consapevole il lettore, specie se inesperto, di quanto l’attività d’investimento non si riduca alla semplice disponibilità finanziaria e alla relativa propensione al rischio, ma richieda conoscenze tecniche, metodo e applicazione.

Una volta definito il benchmark, non rimane che tradurlo nelle concrete operazioni d’investimento, costruendo il portafoglio. Naturalmente, sarebbe impensabile, e molto costoso, investire proporzionalmente in tutti i titoli dei mercati rappresentati nel benchmark. Ecco perché, per la realizzazione del portafoglio è necessario ricorrere agli OICR, strumenti finanziari ideali per tale finalità.

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