Cosa ci insegna Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez
Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez è un libro che, come società, non smetteremo mai di elogiare, leggere e tramandare. In Italia giunse la sua traduzione nel 1968. Un anno storicamente importante, con riferimento a una generazione desiderosa di trovare stimoli per le proprie battaglie anche nel pensiero letterario. In questo il capolavoro del…

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Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez è un libro che, come società, non smetteremo mai di elogiare, leggere e tramandare. In Italia giunse la sua traduzione nel 1968. Un anno storicamente importante, con riferimento a una generazione desiderosa di trovare stimoli per le proprie battaglie anche nel pensiero letterario.

In questo il capolavoro del premio Nobel Gabriel Garcia Marquez riesce perfettamente, offrendo un ventaglio meraviglioso di simbolismi, ben incastonato in differenti piani di lettura differenti. La sua grandezza sta nel riuscire a farsi specchio, consentendo di riconoscersi pur non essendo un romanzo generazionale o politico nella maniera più precisa.

La trama

È davvero difficile parlare della storia di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, principalmente perché si corre il serio rischio di banalizzare queste pagine. Capitolo dopo capitolo, si susseguono le generazioni, tra amore, guerra e non solo. Nero su bianco trova spazio la storia dei Buendía, famiglia che vive in Colombia, in una cittadina immaginaria e utopistica, Macondo. Un libro dalle mille anime, che trae forza dall’esaltazione delle radici e dei costumi, muovendosi in maniera agile tra realtà e leggenda.

Volendo rendere più concreto il discorso sulla trama, citiamo il patriarca Jose Arcadio Buendía, fondatore di Macondo, in Colombia. In questo luogo si svilupperanno sette generazioni, il che porterà a intrecci tra innumerevoli personaggi. Una storia complessa, nella quale non mancano di certo aspetti magici e mistici, che ben si mescolano alla storia dell’epoca.

Gli occhi di Ursula Iguarán, moglie di Jose, si poggeranno quasi su tutti i membri della famiglia. È la più anziana di casa Buendía e si ritroverà circondata, nel tempo, da alchimisti, chiaroveggenti, colonnelli, imprenditori, dittatori, ribelli, zingari, ricamatrici, suicidi, soldati, gigolò e prostitute dalla vita girovaga. Tutti mossi da un obiettivo, una meta spesso utopistica e a volte effimera.

Cosa ci resta di Cent’anni di solitudine

Il mondo proposto dal capolavoro di Marquez si sviluppa in un tempo circolare, colmo di possibilità per ricominciare. L’intera famiglia si fa rappresentazione di un messaggio ben chiaro, di un modo di vivere senza restare indifferenti, continuando a lottare.

Cimentarsi nella lettura di questo romanzo senza tempo vuol dire abbracciare un filone letterario molto particolare, quello del realismo magico. Ciò consente di mescolare miti e leggende, insieme con elementi sovrannaturali, a condizioni realistiche ed eventi storici realmente avvenuti.

Ma cos’è la solitudine di cui si parla. È una condizione mentale che in qualche modo i discendenti di Jose ereditano e, al tempo stesso, si tramandano di generazione in generazione. È una sorta di introversione psicologica, che passa di padre in figlio, tanto sotto forma di attività irrequieta quanto come risolutezza indirizzata a imprese prive di futuro. In entrambi i casi si concretizza in un’avversione naturale per tutto ciò che è pratico e costruttivo.

Per lo stesso Marquez la solitudine corrisponde all’incapacità di amare e offrire solidarietà ad altri. L’autore sottolinea come l’uomo venga affiancato da tale condizione per l’interezza della sua vita. Un sentimento di cui non ci si libera e per tale ragione è opportuno sviluppare con esso un rapporto onesto.

In ultima istanza Cent’anni di solitudine ci insegna che una nuova utopia è sempre possibile: “Noi inventori di favole crediamo a tutto e ci sentiamo in diritto di credere anche che non sia mai troppo tardi per iniziare la creazione di una nuova utopia della vita, dove nessuno possa decidere per gli altri addirittura il modo in cui morire, dove l’amore e la felicità siano davvero possibili. Dove le stirpi condannate a cent’anni di solitudine abbiano realmente una seconda opportunità sulla Terra”.

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