Cos’è il danno tanatologico?
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Esso può essere riferito al danno conseguente alla sofferenza impartita al defunto prima della sua morte e conseguente a lesioni fisiche da atto illecito di terzi.  Da questa definizione in poi si sono scatenati studiosi veri o presunti che hanno cercato di riempire di significato questa nuova locuzione.

A prescindere dall’intervallo di tempo tra la lesione ed il decesso ciò che pare abbia significato in termini di quantificazione del danno è il grado di sofferenza provata dal defunto nel momento in cui egli è consapevole di essere arrivato alla fine dei suoi giorni. Questo arco di tempo viene anche chiamato “danno morale terminale” o “lucida agonia”. Una montagna di problemi possono affacciarsi nel cercare di rintracciare se e quando il soggetto ha diritto al risarcimento a tale titolo.

Nel 2012 la Cassazione (Cassazione Civile sez. III 20.11.2012 N. 20292) ha ammesso che “è da escludersi la configurabilità del cd “danno tanatologico” (o da morte) qualora la morte coincida sostanzialmente con il momento della lesione personale”.  Così facendo, però, è come ammettere che se la morte non avviene in concomitanza con la lesione ma, anzi, avviene in un tempo assai lontano dall’evento traumatico, ecco che allora il “danno tanatologico” potrebbe trovare legittimità.

E questa legittimità si sostanzia nell’art. 2059 c.c. trattandosi, ovviamente, di danno non patrimoniale. Inutile ricordare come la Suprema Corte abbia stabilito che il danno non patrimoniale costituisce un modello unitario del quale le singole categorie di danno hanno solo valenza descrittiva: Cass. SS.UU. 11.11.2008 n. 26972 ed altre. Ciò non di meno occorrerà invece ricordare che esiste una proposta di legge  (la n. 1063 del 2013 attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera) che vorrebbe introdurre nel nostro Codice Civile esattamente la figura del danno tanatologico.

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