Credit crunch: quella regia ancora assente

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La recessione e il credit crunch stanno distruggendo pezzi fondamentali della nostra struttura produttiva: ogni giorno si allunga l’elenco delle imprese che alzano bandiera bianca, perché chiudono, oppure si trasferiscono all’estero, oppure riducono personale e ore lavorate. Diventa sempre più drammatico quindi lo scarto fra ciò che bisognerebbe fare per rilanciare l’economia e le iniziative concretamente assunte.

Il Sole-24 Ore ha da tempo lanciato l’allarme e spronato Governo e attori di mercato ad assumere iniziative concrete ed immediatamente operative (il fondo del direttore a commento delle Considerazioni finali del Governatore era significativamente intitolato “Sporchiamoci le mani”) perché per primo ha capito che questa crisi può avere effetti catastrofici per il sistema produttivo, dunque per l’avvenire dell’intero Paese. Dalla Seconda guerra mondiale non avevamo mai dovuto affrontare una crisi così intensa e prolungata e lo facciamo nelle peggiori condizioni possibili, perché molti problemi strutturali non sono stati risolti prima (si pensi soltanto alla dimensione insufficiente e al peso eccessivo del controllo familiare nella nostra impresa), ma soprattutto perché in un mondo globalizzato la concorrenza è spietata e non consente ritardi di sorta.

 

 

La questione finanziaria è sicuramente al centro del dramma: perché la crisi dovrebbe essere finalmente l’occasione per avviare canali di finanziamento alternativi a quello bancario, e perché è sempre più evidente che il credito erogato è insufficiente in termini quantitativi, ma anche qualitativi. I prestiti bancari si erano ridotti in termini nominali di ben 60 miliardi nel corso del 2012 e, come ha detto Visco alla recente assemblea dell’Abi, la contrazione dei prestiti alle imprese si è accentuata nella prima metà del 2013. Ma c’è di peggio: il rapporto sulla stabilità finanziaria di aprile scorso aveva messo in evidenza come il 2012 sia stato il primo anno in cui la contrazione del credito ha coinvolto non solo le aziende rischiose (definite tali in base ad alcuni indicatori di bilancio) ma anche quelle vulnerabili e quelle sane, al contrario di quanto accadeva nei due anni precedenti.

È la prova più evidente che il nostro sistema bancario, che pure all’inizio della crisi era più robusto degli altri, sta mettendo a nudo problemi strutturali e fra questi vi è una difficoltà sempre più evidente a selezionare le aziende meritevoli di credito dalle altre e a sostenere la crescita delle imprese. Addossare la colpa ai requisiti patrimoniali è fin troppo facile. La disciplina è sacrosanta e bene fa la Banca d’Italia a mettere la ricapitalizzazione delle banche in cima alle priorità: ma né le indicazioni di Basilea né quelle di Roma costringono ad erogare il credito con criteri formali e burocratici, rinunciando alla capacità di allocazione delle risorse che rappresenta la funzione economica fondamentale del banchiere.

Emerge in questi giorni uno dei prezzi più dolorosi che abbiamo pagato per la ristrutturazione del nostro sistema bancario: la scomparsa di istituti che avevano costruito le loro fortune sulla loro capacità di valutare le imprese e i loro processi di investimento. Comit, Imi, Mediocredito centrale, Mediocrediti regionali sono spariti anche come marchi, quasi fossero ricordi di un passato di cui vergognarsi e con essi sono stati dispersi patrimoni di capacità professionali e di interlocuzione con le imprese, come dimostrano le continue ristrutturazioni organizzative delle nostre principali banche, sintomo di un disagio profondo e di un’inadeguatezza non risolta.

Bisogna quindi intervenire subito e con iniziative capaci di essere immediatamente operative. Anche perché all’estero non stanno a guardare: questa settimana, il governo francese ha lanciato una proposta per ampliare ulteriormente i prestiti delle imprese di assicurazione alle piccole e medie imprese: agli attuali 216 miliardi (30 in più del 2008, si badi) se ne dovrebbero aggiungere altri 90. E la Francia aveva creato una Banque publique d’investissement nel 2012, proprio per coordinare tutte le iniziative in materia di credito alle aziende minori.

In Italia, vi sono sul tavolo molte proposte e la gravità della situazione impone di non considerarle alternative fra loro, ma di avviarle progressivamente, via via che si metteranno a punto i dettagli funzionali. Nei giorni scorsi si è molto parlato del fondo di garanzia dedicato alle piccole e medie imprese, da capitalizzare con risorse europee non ancora utilizzate. Occorre definire subito i dettagli operativi e soprattutto le strutture e gli uomini che dovrebbero renderlo funzionante. E bisogna attivare subito le iniziative che stanno scaldando i motori in attesa delle ultime autorizzazioni, come i fondi per il finanziamento delle esportazioni destinati a investitori istituzionali, che potrebbero portare un contributo di liquidità in tempi ancora più rapidi. Così come occorre finalmente tradurre in uno strumento operativo concreto le mille iniziative per una securitisation trasparente e virtuosa a favore della generalità delle imprese, comprese quelle minori. E non bisogna dimenticare che rimane ancora sotto traccia il problema di come mettere l’enorme potenziale di finanziamento delle imprese di assicurazione (o di altri investitori istituzionali) al servizio del sistema produttivo.

Il problema è che sembra mancare una regia complessiva di questo pur vitale problema del nostro sistema produttivo. Non a caso, il ministro francese ha presentato il progetto sulle assicurazioni a Paris Europlace, un forum che Oltralpe non è mai stato chiuso e che ha consentito di avviare alcune delle iniziative “di sistema” che stanno consentendo alla Francia di attraversare la crisi meglio del nostro Paese.

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