Ecco come cambia il patto Mediobanca

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La bozza definitiva sarà il frutto delle consultazioni, attualmente in corso, tra i grandi soci di Mediobanca, i vertici della banca e il presidente del patto di sindacato Angelo Casò. Finora, però, – secondo quanto si apprende – sono maturate almeno tre certezze che gettano le basi su cui verrà ripensato il nuovo accordo di piazzetta Cuccia: la conferma della natura di patto di sindacato (e non patto di consultazione), l’eliminazione della suddivisione degli azionisti in tre grandi gruppi e la durata biennale. Tutte decisioni che vanno nella direzione di quanto auspicato più volte dai vertici dell’istituto milanese, rappresentati dall’amministratore delegato Alberto Nagel e dal presidente Renato Pagliaro: costruire un patto più snello per normalizzare la banca, aumentarne il flottante e attrarre nuovi investitori. Un obiettivo che va di pari passo con la nuova strategia dell’istituto, ormai da tre anni impegnato a valorizzare storiche partecipazioni, spesso incrociate, in società industriali e patti di sindacato che erano stati costruiti ai tempi di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi. Solo per quest’anno Nagel ha annunciato dismissioni per due miliardi di euro dopo averne già realizzate più di miliardi.

Scompaiono i gruppi

Dopo il rinnovo del patto di piazzetta Cuccia, avvenuto a settembre e che ha visto la quota sindacata scendere al 30,05% dal precedente 42,03%, si aperto un tavolo di lavoro tra soci e management. In un primo momento si era presa in considerazione la possibilità che l’accordo di sindacato fosse trasformato in patto di consultazione, una tipologia più “soft” rispetto al vecchio accordo. Una ipotesi, quest’ultima, caldeggiata da qualche azionista. Tale linea però non sarebbe stata condivisa dalla maggioranza dei pattisti, con il risultato che allo stato attuale c’è una visione comune comune di confermare la natura di patto di sindacato. Con modifiche, però, sostanziali. Che passano soprattutto dalla scomparsa della «storica» suddivisione degli azionisti in gruppi. Finora, infatti, l’accordo vedeva una ripartizione nel patto tra soci A (banche), B (soci industriali) e C (soci esteri).

Dopo lo svincolo della quota da parte di Unipol (3,83% del capitale), Generali (2%), Italmobiliare (solo per l’1%), Marco Brunelli (0,16%) e i francesi di Groupama (4,93%) i pesi di questi tre gruppi sono cambiati: le banche (Unicredit e Mediolanum) sono rimaste ferme al 12,03%, mentre il gruppo B che raccoglieva il 19% del capitale è sceso al 12,02%,e il gruppo C dei soci francesi che totalizzava l’11% del capitale è passato al 6%. Il ridimensionamento dei diversi gruppi con un azionariato così «asciugato», ma soprattutto la profonda rivoluzione avviata da Mediobanca, ora più focalizzata sul core business e non più srorica «cassaforte» di partecipazioni incrociate, ha consigliato di rivedere un modello ormai giudicato non più attuale e di immaginarne una versione più moderna.

La rivoluzione di Mediobanca

Si tratta di una svolta storica, se si pensa che tale ripartizione risale fino ai tempi della privatizzazione (la vecchia separazione tra banche e imprese) e si è poi sigillata nel 2003 con l’ingresso dei soci francesi. Allora il patto Mediobanca raggruppava il 52,5% del capitale per arrivare poi alla fine del 2004 a raccogliere il 55,4 per cento. A distanza di quasi dieci anni, dunque, l’accordo è sceso del 25%, discesa auspicata e accompagnata dall’attuale management che, soprattutto negli ultimi due anni, ha accelerato una profonda metamorfosi di piazzetta Cuccia. Un sistema pian piano «smontato» da Nagel sia nella gestione e valorizzazione delle partecipazioni che nella rifocalizzazione sul core business. Tanto è vero che l’istituto negli ultimi cinque anni ha ceduto partecipazioni per 3,3 miliardi e con il nuovo piano ha annunciato dismissioni per altri 2 miliardi.

Naturale dunque ripensare un accordo giudicato non più attuale. La scomparsa dei gruppi, così, vedrà come singolo primo azionista di Mediobanca UniCredit (8,7%), seguito da Bolloré (6%) e dal gruppo Mediolanum (3,38%). Sotto di loro, escluso il gruppo Benetton che è socio con il 2,16%, figurano poi partecipazioni al di sotto della soglia rilevante.

Ne consegue, dunque, che la governance del patto sarà rivista. Intanto perché oggi il mercato ha una fetta più grande del capitale di Mediobanca, con il risultato che probabilmente il numero dei consiglieri «espressione» dei soci di riferimento sembra destinato a scendere a favore di una adeguata rappresentanza del mercato. E poi, appunto, perché la ripartizione in consiglio era legata a doppio filo al sistema dei gruppi con gli industriali, il gruppo B, che ne esprimevano 7, il gruppo C quattro e il gruppo A cinque. E’ dunque possibile che si vada verso una governance in cui i consiglieri della lista di maggioranza siano indicati dal patto seguendo le logiche dei singoli pesi di partecipazioni. Su questo tema, però, il cantiere è aperto e sotto la regia del presidente del patto Angelo Casò si sta lavorando per capire come ridisegnare la governance. L’idea di massima sarebbe quella di definire la nuova bozza dell’accordo, che dovrà chiaramente passare dall’assemblea del patto stesso, entro l’estate.

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