Il FinTech è uno dei campi più seguiti negli ultimi anni da venture capitalist
Chi sono le pmi innovative?

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Il business bancario, stretto tra normative sempre più rigide tese a evitare nuovi tracolli di istituti “troppo grandi per fallire” e una redditività in calo anche a causa del persistere ormai da anni (e per ancora diversi anni, a giudicare dalle previsioni delle principali banche centrali) di uno scenario di tassi bassi e crescita relativamente modesta in vaste aree del pianeta, dall’Europa al Giappone, è da tempo sotto pressione.

La pressione sta portando da un lato le banche a cercare di spostare il focus della propria attività verso servizi più redditizi, dall’altro gli investitori privati a sostenere lo sviluppo di startup che con business model scalabili possano “spacchettare” il modo di fare banca che noi tutti abbiamo conosciuto da decenni in quelli che sono le sue componenti fondamentali come: esame del merito di credito, reperimento di capitali di rischio, pagamenti e transazioni finanziarie, consulenza agli investimenti, ottimizzazione dell’allocazione di capitale della clientela e così via.

Purtroppo ancora una volta in Italia si fanno molti convegni ma si investe poco, col risultato che sul listino azionario finisce una manciata di società come Tecnoinvestimenti o di operatori che investono (anche, ma non solo) in società attive nel settore della fintech, come LVenture Group, H-Farm o Digital Magics. Di queste solo Tecnoinvestimenti raggiunge i 110 milioni di euro di capitalizzazione, cosa che le rende microscopiche rispetto ai competitor internazionali. Senza scomodare colossi “tradizionali” del settore come Visa, MasterCard o American Express, con capitalizzazioni che in euro variano da 163 a 55 miliardi, PayPal, gestore di transazioni finanziarie rilevato e poi scorporato da eBay, vale quasi 43 miliardi, broker online come Charles Schwab, TD Ameritrade o Interactive Brokers Group stanno tra i 33 e i 14 miliardi, gruppi europei come Ingenico, Wirecard, Temenos o PaySafe valgono tra i 6,3 e i 2,3 miliardi e persino delle società relativamente “piccole” come la danese Simcorp A/S, l’americana Wisdom Tree Investmens e l’inglese Fidessa Group oscillano tra 1,6 e 1,2 miliardi.

Se volete investire nella rivoluzione fintech meglio dunque farlo guardando a Wall Street (salvo che i piccoli “campioni” italiani non mettano il turbo, diventando semmai prede potenziali di qualche concorrente straniero). Attenzione però che proprio perché ricco di ex startup il settore è estremamente volatile e fortemente condizionato dai risultati che, trimestre dopo trimestre, ciascuna azienda si dimostra in grado di ottenere o dei rischi che hanno corso. Prendete Lendingclub: la società eroga finanziamenti incrociando la domanda di prestiti e la disponibilità a investire da parte dei propri utenti, facendo passare il tutto tramite il partner bancario WebBank. Per evitare crescenti rischi legali, la società lo scorso febbraio ha trasferito proprio a WebBank una parte dei propri rischi su credito in cambio di commissioni più elevate da pagare alla banca per i servizi prestati. La mossa inizialmente è piaciuta e il titolo è passato da 8,5 a 9,5 dollari, ma poi previsioni più deboli delle attese diffuse dalla concorrente On Deck Capital e la continua pressione competitiva hanno portato il titolo a perdere nuovamente terreno.

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