I bilanci delle due popolari venete languono in rosso e il peggio sembra dover ancora arrivare
Veneto Banca ridisegna la rete

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Sono lontani i tempi in cui, era il 2007, l’export della regione Veneto era paragonabile a quello dell’intera Grecia o del Portogallo.
Oggi le imprese arrancano, chi non ha saputo costruire solidi mercati di sbocco lontano dall’Italia non ce la fa più. E il patto stretto negli anni con le due popolari di riferimento di una zona vastissima — che va dal lago di Garda a Venezia, passando ovviamente per Vicenza e Treviso e le campagne industriali di Padova e Rovigo — non paga più. L’avvio dell’Unione bancaria europea, lo scorso 4 novembre, ha interrotto decennali consuetudini e oggi se ne vedono le conseguenze. In due anni e mezzo la Vicenza ha perso 1,843 miliardi e la più piccola Veneto 1,365 miliardi. In totale si sono bruciati 3,2 miliardi di euro. Un disastro in una regione devastata dai costi pubblici del Mose: 280 mila euro al giorno per dieci anni, ha calcolato Renzo Mazzaro su Il Mattino di Padova . Eppure sono state stagioni fantastiche. Per vent’anni è stato come in un sogno: crescita in conto capitale e dividendo che aumentava costantemente ad ogni esercizio. Una pacchia! Altro che Bot, Btp e azioni quotate… I titoli delle popolari univano la sicurezza delle obbligazioni ai guadagni delle azioni.
Poi, la doccia fredda, la scorsa primavera, quando gli entusiasmi erano già stati temperati da due anni trascorsi senza dividendi e da aumenti di capitale a prezzo pieno per complessivi 1,7 miliardi di euro: il valore delle azioni, quelle azioni che quasi nessuno riusciva più a vendere, è stato bruscamente ridimensionato in un sol giorno, con una sforbiciata che buttava nel cestino quasi il 25 per cento del valore.
A Vicenza poi, la Popolare ha finanziato parte dei soci che hanno sottoscritto gli aumenti di capitale. L’importo complessivo è stato di 974,9 milioni di euro, ma la Bce nel corso di un’ispezione durata quattro mesi ha evidenziato che quella parte dell’aumento non può essere considerata valida ai fini della patrimonializzazione della banca. Così l’amministratore delegato, Francesco Iorio, ha prospettato un nuovo rafforzamento — il terzo in tre anni — che potrebbe arrivare a 1,5 miliardi. Ma chi sottoscriverà quelle azioni? I vecchi soci sono smunti, in due anni hanno già versato nelle casse sociali 1,2 miliardi di aumento e 253 milioni tramite un bond convertito, mentre la banca si trova cementata da 200 mila immobili a garanzia.
Ci sono piccoli azionisti che hanno investito in azioni della Popolare parte della liquidazione — numerosi all’ultima assemblea — ma anche dipendenti che non potevano sottrarsi all’aumento, come pure imprenditori che hanno vincolato al loro fido il capannone industriale sede dell’azienda.
La lista è lunga, i soci delle due popolari sono oltre 200 mila, sparsi soprattutto tra Nordest, Toscana, Sicilia, Puglia, Marche, Lombardia e Piemonte. Tra loro ci sono il fondatore della Fai Giovanni Bettanin e il presidente di Confindustria Veneto, Roberto Zuccato, membro del cda della banca e creatore di Ares line. Ma anche il gioielliere Roberto Coin (30.043 titoli attraverso una spa), il re del pane Luigi Morato (507.993 titoli), fino a diverse concerie di Arzignano, con Rino Mastrotto in testa (in portafoglio ha 57.472 azioni della Vicenza e 88.180 della Veneto).
Anche la moda non ha saputo resistere al fascino delle popolari: Silvano Ravazzolo (Confrav), i cui abiti vestono la famiglia Bush, ha 688.115 azioni, mentre il re delle scarpe da donna, René Fernando Caovilla, 120.271 attraverso la srl di casa e 291.327 personalmente. Gli intrecci sono a diversi livelli: Banca Ifis ha 156.660 azioni della Vicenza, la Cattolica di Assicurazione 865.186 (partecipazione incrociata). Per tutti il peggio è alle porte, perché ad aprile il titolo è passato da 62,5 a 48 euro e nella prossima primavera il prezzo (non il valore) verrà fissato a Piazza Affari. A quanto? Sono aperte le scommesse, al ribasso.
Non va molto meglio a Montebelluna, sede della Veneto: il valore del titolo è sceso a 30,5 euro e si prospetta un aumento da 800 milioni. «Siamo molto preoccupati per la mancanza di trasparenza — dice Matteo Cavalcante, segretario dell’Associazione per Veneto Banca, che ha messo assieme il 7 per cento del capitale —. Il piano industriale è evidentemente inefficace ed è totale il disallineamento tra gestione e proprietà». All’associazione di Cavalcante fanno capo imprenditori quali l’immobiliarista Giorgio Batacchi e il re del prosciutto Luca Ferrarini, molto attivo con entrambe le banche venete, visto che nel marzo scorso ha affidato la strutturazione di un bond da 15 milioni, destinato a investitori professionali, alla Vicenza. Ma l’anima imprenditoriale è ben viva anche all’interno del cda della Veneto: dal vicepresidente Alessandro Vardanega (Cotto Possagno), al consigliere Matteo Zoppas. Nome noto è anche quello di Pierluigi Bolla, un marchio nel mondo del vino, consigliere a Montebelluna e socio a Vicenza (4.500 azioni). Con doppio passaporto anche le Acciaierie Valbruna. Il fondatore, Nicola Amenduni, ha ridotto la partecipazione a Vicenza e oggi la sua azienda è socia della Veneto con 319.770 azioni, poche di più di Pietro D’Aguì di Bim (315 mila). Non mancano le assicurazioni, da Cattolica (277.777) ad Hdi (1.008.833) alle Generali (621.990) e, tra i primi azionisti, concorrente di Ferrarini, c’è anche il salumificio Fratelli Beretta (475.963 azioni). Molti soci ma, a Montebelluna, manca ancora la certezza del percorso: c’è chi spera in una sentenza salvifica che annulli la legge che impone la trasformazione in spa e chi spera di piacere così tanto al Banco Popolare di Verona da esserne comprato. Al momento, dopo le dimissioni di Vincenzo Consoli, manca una voce forte che sappia indicare la via.
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