Il fintech fa capolino nell’establishment mondiale
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Come ogni anno, a Davos, in Svizzera, i grandi della Terra si riuniscono per il World economic forum. Un appuntamento di relazioni ma anche di discussione sul futuro del mondo (e non solo della sua economia).

Il quadro degli ospiti e degli speaker è una fotografia degli equilibri di potere esistenti. È sempre stato così. Ma quando il Wef ha reso pubblico il tema dell’anno, “La quarta rivoluzione industriale”, sembrava che in questo scatto il fintech potesse diventare protagonista. Pareva l’occasione giusta per dare ulteriore legittimazione al dialogo tra tecnologia e finanza. Per offrire spazio a coloro che, dietro o accanto a colossi e banche, stanno rivoluzionando il settore.

Scorrendo la lista degli ospiti e degli speaker, l’occasione – nonostante il tema propizio – non è stata sfruttata appieno.

I panel si dividono in tre grandi filoni: risorse globali, sicurezza globale e “gestione della quarta rivoluzione industriale”, tra robotica, digital transformation, intelligenza artificiale, futuro di internet, big data. In tutto 335 sessioni: solo tre hanno come tema principale il fintech. Uno spazio ridotto in un appuntamento che si propone di parlare di economia, finanza e “rivoluzione”.

Anche all’interno delle tre sessioni dedicate, c’è uno squilibrio. A salire sul palco ci saranno solo tre figli del fintech: Taavet Hinrikus, ceo di TransferWise; Edward Bailey, ceo di Dataminr; Dan Schulman, ceo di PayPal. In platea, tra gli ospiti non parlanti ci sarà Chris Larsen, ceo di Ripple.

Hinrikus e Bailey racconteranno la propria storia in un dibattito intitolato The Unicorn effect. Schulman discuterà di Transformation of Finance. Ma sarà il solo nativo digitale, accanto a Deutsche Bank, Morgan Stanley, Fondo monetario internazionale e Zurich.

Lo sbilanciamento è ancora più evidente in un’altra conferenza. Si intitola The fintech revolution. Ci sono Lloyd’s, Ing e Visa. Ma nessuna startup del settore.

Il fintech non è un’isola. E spesso trova risorse tra quelle banche che hanno compreso la portata dei cambiamenti in corso. Per comprenderli, però, i grandi istituti (e le grandi istituzioni internazionali) dovrebbero ascoltare con più attenzione anche le voci che non appartengono loro. Sarebbe un’opportunità per tutti. E, vista la rapidità dei cambiamenti, sarebbe meglio non sprecare occasioni preziose.

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