Il giorno dopo di UnipolSai

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Che la nascita del colosso UnipolSai non fosse una passeggiata era chiaro fin da subito a tutti. Non solo alle Authority, ma soprattutto ai circa 8.100 dipendenti delle società coinvolte, ancora al vaglio dell’Ivass, che porterà alla nascita del secondo gruppo italiano e dell’ottavo in Europa.

I colletti bianchi hanno manifestato giovedì con le prime tre ore di sciopero del pacchetto di otto annunciato dai sindacati. Una mobilitazione che ha unito, alla vigilia del voto, tutte le città coinvolte nella riorganizzazione del gruppo UnipolSai dove i dipendenti hanno protestato contro l’accordo quadro presentato dai vertici il 4 febbraio e giudicato irricevibile.

In particolare non è piaciuta l’indeterminatezza del verbale intesa che annunciava, oltre aqli esuberi, l’esigenza di pesanti trasferimenti dei dipendenti. Con una presa di posizione non condivisa che stride, secondo i sindacati, con gli appelli alla concertazione lanciati all’Ad, Carlo Cimbri.

Unipol ha infatti dichiarato che il gruppo e le società coinvolte nella fusione, post operazione avranno 5.925 dipendenti, con un’eccedenza di 2.240 unità. Fonti vicine al gruppo minimizzano facendo notare che in questi esuberi sono compresi i 1.100 dipendenti dei rami che verranno ceduti come richiesto dall’Antitrust (che ha imposto un dimagrimento di 1,7 miliardi di premi) e i circa 900 dipendenti che si stima abbiano i requisiti per la pensione o possano accedere al fondo accompagnamento o in altri meccanismi previsti dal contratto collettivo nazionale.

Lo sciopero mira a ottenere un ripristino di un quadro di regole indispensabili per un confronto sereno e costruttivo, senza licenziamenti sia collettivi che individuali e dove sia prevista la salvaguardia delle sedi di tutte le aziende sul territorio. I sindacati chiedono inoltre che sia previsto il consenso dei lavoratori al trasferimento di sede e in caso di applicazione del fondo di solidarietà.

«Vengono richieste anche precise garanzie per le lavoratrici e i lavoratori coinvolti in cessioni di asset», come recita il comunicato diramato da Fisac-Cgil, Fiba-Cisl, Uilca, Fna e Snfia. Sullo sfondo c’è anche il timore che possa essere applicata la legge 223 sui licenziamenti.

I fronti più caldi sono Torino e Firenze dove il gruppo ha annunciato di voler lasciare solo “poli specialistici” e dove dunque saranno necessari parecchi trasferimenti verso Bologna, che diventerà la sede legale e una delle due sedi operative, e verso Milano altra direzione operativa. Nel capoluogo toscano lavorano 588 dipendenti (ex Fondiaria) specializzati soprattutto nel Vita.

Ancora più critica la situazione di Torino dove oggi lavorano un migliaio di dipendenti assicurativi, che salgono a 2mila se si considerano Banca Sai e l’indotto.

Inutile dire che i lavoratori sperano nei sindaci Pd delle due città “periferiche” nella nuova galassia, Matteo Renzi e Piero Fassino, affichè intercedano presso Unipol e le coop.

Le agenzie. Se questo sciopero ha coinvolto i dipendenti direzionali, un grido di allarme arriva anche dai lavoratori subordinati alle dipendenze delle agenzie stimati intorno ai 7mila. Al momento la capogruppo non ha ancora formalizzato la riorganizzazione agenziale ma è certo che vi saranno centinaia di sovrapposizioni e che sarà necessaria una radicale razionalizzazione – spiega Salvatore Efficie, responsabile nazionale Cigl settore agenzie di assicurazioni.

I lavoratori delle agenzie in appalto sono quelli che rischiano di più anche perché per loro non sono previsti ammortizzatori sociali e non esiste un fondo esuberi, come per i dipendenti direzionali.

I sindacati stimano la chiusura di 700-1000 agenzie (sulle 4.600 attuali) con circa 2mila posti a rischio.

Anche se l’azienda ha smentito la scorsa estate queste cifre.

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