Il possesso di criptovaluta da parte di persone fisiche comporta la necessità di valutare quali sono i relativi obblighi fiscali
In assenza di una normativa specifica, l’Agenzia delle Entrate finora ha sempre equiparato le criptovalute alle valute estere tradizionali.

In assenza di una normativa specifica, l’Agenzia delle Entrate finora ha sempre equiparato le criptovalute alle valute estere tradizionali.

Seguendo questa impostazione, non esente da critiche in dottrina, sotto il profilo reddituale la “classica” cessione a pronti di criptovalute determina fattispecie imponibili solo a certe condizioni.

Ciò in quanto si realizzano plusvalenze tassabili, da indicare nel quadro RT e assoggettare a imposta sostitutiva del 26%, solo quando nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.

Per espressa previsione normativa in tali casi si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito (articolo 67, comma 1, lettera c-ter), e comma 1-ter) Tuir).

Qualora non vi sia il superamento della citata soglia non sono deducibili neppure le minusvalenzeeventualmente realizzate.

Il citato interpello 788/2021, peraltro, ai fini del calcolo della soglia dei 51.645,69 richiama la giacenza “media” dei portafogli elettronici (c.d. “wallet”) complessivamente detenuti dal contribuente, indipendentemente dalla tipologia dei wallet stessi (paper, hardware, desktop, mobile, web).

Va evidenziato tuttavia come il citato articolo 67 Tuir faccia riferimento alla semplice “giacenza” dei conti e depositi esteri (dovrebbe pertanto rilevare il totale dei “saldi giornalieri” degli stessi senza alcun ulteriore ragguaglio sulla base del numero di giorni o dei depositi) e non alla “giacenza media”; criterio differente che rileva nell’ambito dell’Ivafe e del monitoraggio fiscale per i conti correnti esteri.

Con riferimento al “cambio” da utilizzare per il calcolo della predetta soglia è la stessa Agenzia delle Entrate nei citati documenti di prassi a concludere che in mancanza di un prezzo ufficiale giornaliero cui fare riferimento per il rapporto di cambio tra la valuta virtuale e l’euro all’inizio del periodo di imposta, il contribuente può utilizzare il rapporto di cambio al 1° gennaio rilevato sul sito dove ha acquistato la valuta virtuale o, in mancanza, quello rilevato sul sito dove effettua la maggior parte delle operazioni, con un’alea dunque non indifferente tenuto conto della notoria estrema volatilità di tali rapporti di cambio.

Va osservato, inoltre, che applicando alle criptovalute tout court la disciplina delle valute estere si finisce per tassare (se viene superata la citata soglia) anche le “conversioni” fra differenti criptovalute che sono considerate in ogni caso prelievi imponibili, pur in assenza di una effettiva “monetizzazione” in euro della plusvalenza.

L’assimilazione delle criptovalute alle tradizionali valute estere, inoltre, impatta anche sotto il profilo del monitoraggio fiscale, rendendo necessaria la compilazione del quadro RW, a meno che il wallet non sia detenuto tramite una società italiana (come chiarito per la prima volta dal recentissimo interpello 437/2022).

Anche in questo ambito non mancano perplessità.

Tralasciando il tema della “aterritorialità” delle criptovalute che mal si concilia con il monitoraggio fiscale che riguarda investimenti e attività finanziarie possedute “all’estero” (tanto che è la stessa Agenzia delle Entrate che “autorizza” a non inserire in RW il “codice Paese” essendo sufficiente sotto il profilo oggettivo l’indicazione del codice “14” per contrassegnare la tipologia di investimento in “valute virtuali”), sempre secondo l’interpello 788/2021, per la compilazione dell’RW si dovrebbe utilizzare il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale vendute in corso d’anno.

Anche tale conclusione non convince posto che richiama una sorta di “valore di mercato” che in ambito RW è applicabile solo per i titoli quotati e un cambio giornaliero a fronte di quello mensile che pacificamente va utilizzato in ambito RW.

Probabilmente sarebbe più corretto (oltre che più semplice e maggiormente rappresentativo della reale capacità reddituale e patrimoniale del contribuente) riferirsi al criterio residuale in ambito RW del costo di acquisto.

Tanto più se si considera che, in ogni caso, non vi sarebbe alcun danno per l’Erario, in quanto le criptovalute non scontano l’Ivafe poiché i relativi wallet non sono conti correnti o depositi di natura bancaria (come confermato dall’interpello 788/2021).

Da tale ultimo assunto, peraltro, discende che per i wallet di criptovalute non sia applicabile allo stato attuale la soglia di 15.000 euro (come picco massimo complessivo) al di sotto della quale i conti correnti esteri non sono oggetto di monitoraggio.

Alla luce di quanto sopra, appare evidente la necessità di un risoluto intervento del legislatore teso a colmare evidenti “vuoti” normativi che non riguardano solo le criptovalute, ma, più in generale, il mondo delle criptoattività (come per es. i c.d. non fungible tokens – NFT), in costante espansione.

Fino ad allora, invocare l’inapplicabilità di eventuali sanzioni amministrative per obiettive condizioni di incertezza normativa pare tutt’altro che un’eresia.

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