Il revirement apparente della Suprema Corte sulla legittimità della penale di risoluzione nei contratti di leasing

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Cass., 17 gennaio 2014, n. 888 (leggi la sentenza per esteso)

Con la recentissima sentenza n. 888 pubblicata in data 17 gennaio 2014, la Cassazione ha sostenuto che “le clausole contrattuali che attribuiscano alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento ed in più la proprietà e il possesso dell’immobile, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli che essa aveva il diritto di attendersi dalla regolare esecuzione del contratto, venendo a configurare gli estremi della penale manifestamente eccessiva rispetto all’interesse del creditore all’adempimento, di cui all’art. 1384 cod. civ. (Cass. civ. Sez. 3, 13 gennaio 2005 n. 574; Idem, 2 marzo 2007 n. 4969; Idem, 27 settembre 2011 n.19732, ed altre)”.

La decisione in commento parrebbe presentare una battuta di arresto del principio consolidatosi in materia, e condiviso nel corso degli anni tanto dalla giurisprudenza di merito quanto da quella di legittimità.

La realtà è però un’altra.

Per comprenderne le ragioni, occorre muovere le premesse dalle conclusioni raggiunte proprio dalla Cassazione con la nota sentenza, 7.02.2012, n. 1695: “il risarcimento del danno per inadempimento dell’utilizzatore può anche non essere commisurato alla differenza necessaria per raggiungere il vantaggio che si aspettava il concedente

In particolare, non si può non osservare, hanno spiegato i giudici della Terza Sezione Civile della Suprema Corte, che la disposizione rimette al giudice del merito l’apprezzamento di fatto circa il possibile esercizio del potere di riduzione dell’indennità convenuta: pertanto, “l’utilizzatore del bene inadempiente non può dolersi che il giudice non abbia disapplicato la clausola penale prevista dal contratto, sul rilievo che il cumulo fra essa e la restituzione del bene locato porterebbe asseritamente al concedente un’utilità complessivamente maggiore a quella che sarebbe scaturita dalla regolare esecuzione delle obbligazioni,laddove di fronte a una complessa economia contrattuale, non conta quanto abbia pagato il contraente inadempiente per un uso limitato nel tempo del bene locato, quanto invece quale sia stata la perdita subita dal contraente che abbia dato regolare esecuzione al contratto (Cfr. Cass., 7 febbraio 2012, n. 1695).

La sentenza n. 1695 del 2012 rappresenta la massima espressione di un principio consolidatosi nella giurisprudenza della Cassazione all’esito di un cammino durato anni, e che continua a trovare riscontro nella giurisprudenza di merito.

In tale contesto, se non tenessimo conto di alcuni elementi imprescindibili, la decisione assunta con la sentenza n. 888/2014 potrebbe anche apparire in stridente contrasto con i precedenti riferimenti giurisprudenziali intervenuti in materia.

E’ bene ricordare, pertanto, che ai sensi dell’art. 1384 c.c. “la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo”.

Di conseguenza, così come “l’utilizzatore del bene inadempiente non può dolersi che il giudice non abbia disapplicato la clausola penale prevista dal contratto”, il Giudice conserva pur sempre la facoltà di ridurre la penale tenuto conto delle circostanze di fatto e di ogni altro elemento utile sottoposto al suo esame.

E ciò, in quanto, sia che si tratti di leasing sia che si tratti di una diversa tipologia contrattuale, la legge riserva al Giudice l’apprezzamento di fatto circa il possibile esercizio del potere di riduzione dell’indennità convenuta.

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