Individuazione di nuovi strumenti giuridici e contrattuali per le start up innovative
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La conoscenza delle metodologie di investimento, proprie di ecosistemi stranieri (i.e. la Silicon Valley), e la difficoltà di reperire capitali, sufficienti allo sviluppo soprattutto delle fasi early stage e seed, ha favorito la propensione dei diversi attori verso strumenti anche alternativi all’equity sia di derivazione italiana che anglosassone.

Questo orientamento è stato sicuramente virtuoso dal momento che la diversificazione delle fonti di reperimento di capitali ha allargato il bacino di riferimento, che oggi va dal fondo di venture capital, ai network di business angels e family office ai club deal di piccoli investitori propensi ad investire principalmente con quote di taglio ridotto, soprattutto nelle fasi di incubazione ed accelerazione del business delle start up.

L’attuale tendenza verso strumenti non-equity o semi-equity, da una parte ha rispolverato istituti giuridici, presenti nel nostro codice civile dall’ultima riforma del 2004 (e.g. Strumenti Finanziari di Partecipazione – SFP – articolo 2346, sesto comma c.c.1), dall’altra ha portato alla nascita di nuovi modelli contrattuali atipici che si ispirano dichiaratamente a ben noti strumenti in uso nella Silicon Valley, è il caso in particolare dei Convertible Note e del SAFE Agreement.

Detti strumenti, a cui si uniscono gli SFP, hanno per comun denominatore un investimento in denaro, destinato ad essere convertito in equity al verificarsi di determinate condizioni oppure allo scadere di una data determinata. Ciascuno di essi, quindi, non fa assumere la qualità di socio all’investitore che diventa di fatto uno stakeholder (i.e. portatore di un interesse protetto) titolare solo di determinati diritti patrimoniali ed amministrativi, negoziati con la società e con i soci fondatori a seconda dei casi e del modello contrattuale prescelto. Bisogna ricordare che fra i diritti patrimoniali non è compreso, per il quinquennio che parte dalla costituzione della società, il diritto alla percezione degli utili e questo perché le start up innovative non possono distribuire utili per i primi 5 anni (cfr. articolo 25, secondo comma D.L. n. 179/2012).

Convertible Note e SFP

Cominciamo dai Convertible Note, usati principalmente da club deal e family office. Si tratta di uno strumento molto flessibile che è un ibrido fra le obbligazioni convertibili in azione e il mutuo tradizionale ed ha l’impostazione propria della raccolta di fondi a debito. Infatti, l’investitore procede a fare un finanziamento alla start up, con un tasso di interesse se negoziato dalle parti, sulla base di un contratto che stabilisce i vari step, i termini e le condizioni che regolano il rapporto con la società. L’investimento viene, quindi, contabilizzato fra i debiti della start up verso terzi.

Contrattualmente viene individuata una data di restituzione dell’investimento ed una relativa alla conversione a capitale del corrispondente credito vantato dall’investitore nei confronti della start up. È anche vero che in alcuni casi le parti scelgono di non indicare alcuna data di restituzione dell’investimento, stabilendo solo quella di conversione, in tal modo, di fatto, lo strumento diventa una opzione alla sottoscrizione di un aumento di capitale, con la conseguenza che l’investimento sottostante può rappresentare il prezzo dell’opzione medesima o una sorta di obbligazione convertibile in azioni, ammesse da autorevole dottrina non solo nelle s.p.a., ma anche nelle s.r.l.

La data di conversione dell’investimento è generalmente antecedente a quella della sua restituzione, quest’ultima si considera una extrema ratio a cui si ricorre quando non è stato deliberato l’aumento di capitale che consente la conversione a capitale, sempre che le parti abbiano concordato questo diritto di rimborso in mancanza della delibera di aumento. Inoltre, la restituzione potrebbe essere anche prevista come una conseguenza del verificarsi di particolari eventi, contrattualmente consistenti in una giusta causa di rimborso dell’ammontare versato alla società o in ipotesi di violazione di impegni o garanzie assunti dai soci fondatori verso gli investitori e la società. Per evitare spiacevoli sorprese, è prassi contrattualizzare un obbligo per i soci fondatori di procedere all’aumento di capitale destinato all’investitore e un obbligo in capo a quest’ultimo di convertire il proprio prestito.

A livello negoziale le parti sono libere di prevedere che la conversione avvenga in una data prestabilita oppure al verificarsi di determinati condizioni, che possono consistere nel raggiungimento di determinate milestone, da parte della società, quali: obiettivi di fatturato, il raggiungimento di risultati sia economici che afferenti allo sviluppo tecnologico degli asset materiali o immateriali della società (es. la realizzazione di un software, la brevettazione di un’invenzione).

La conversione può avvenire in un’unica soluzione oppure anche in diverse tranche, mediante la delibera di un aumento di capitale appositamente da sottoscrivere in diversi successivi.

Il Convertible deve prevedere il prezzo unitario delle quote o delle azioni, a cui avviene la conversione, calcolato solitamente in base alla valutazione della start up ante investimento (c.d. pre-money valuation); è abbastanza usuale stabilire uno sconto sul prezzo di conversione dell’investimento in equity.

Il SAFE Agreement, modello contrattuale sviluppato e utilizzato dal notissimo incubatore californiano Y Combinator, non è uno strumento di debito – come il Convertible – e neanche propriamente di equity perché non da diritto a dividendi e al voto in assemblea: si tratta di uno strumento finanziario che incorpora il diritto futuro ad acquisire quote di partecipazione di tipo privilegiato (i.e. Simple Agreement for Future Equity). Il SAFE non ha un diretto omologo nel nostro diritto, tuttavia l’unico istituto che gli somiglia è rappresentato dagli SFP, ove costruiti come strumento partecipativo di semi-equity (senza diritto di rimborso), funzionali alla raccolta di capitali destinati ad un’apposita riserva del patrimonio netto, che dovrebbe intendersi indisponibile ed utilizzabile solo al fine di coprire perdite di periodo. Tuttavia la questione circa il grado di indisponibilità di questa riserva è piuttosto dibattuta in dottrina e in giurisprudenza. La tendenza a prevedere contrattualmente l’erosione di questa riserva, solo dopo l’integrale utilizzo di tutte le altre riserve (compresa quella legale) utilizzabili per assorbire le perdite, non è pacifica dal momento che recente giurisprudenza ha stabilito la disponibilità della riserva formata con l’emissione degli SFP in quanto di natura statutaria e quindi erodibile dalle perdite di periodo prima delle riserve legali e del capitale2. In sostanza questo è l’elemento cruciale che non rende applicabili tout court i SAFE nel nostro ordinamento.

In ogni caso, le maglie larghe del codice civile ci consentono di impostare gli SFP a seconda delle esigenze del caso e questo perché sono sostanzialmente “delle scatole vuote”, suscettibili di essere riempite di volta in volta dall’autonomia privata, sulla base dei bisogni della start up emittente e degli investitori interessati a finanziarla, il tutto nei limiti individuati dalla legge che: i) esclude che agli SFP possa essere attribuito il diritto di voto nelle decisioni dei soci; e ii) prevede che tali strumenti possano essere dotati di “diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi”. L’emissione degli SFP deve essere prevista già da apposita clausola statutaria, che ne delega la successiva disciplina ed emissione alla assemblea straordinaria dei soci, organo deputato anche ad approvare il relativo regolamento che ne detta tutte le regole, comprese quelle che disciplinano il funzionamento dell’assemblea speciale deititolari di SFP.

Tornando al SAFE, il modello americano stabilisce un prezzo di conversione che non deve eccedere un certo cap, a fronte del quale vengono assegnate con aumenti di capitale azioni e quote (i.e. Safe Preferred) con diritti privilegiati e restrizioni molto simili a quelli propri delle partecipazioni standard di tipo “Preferred Shares”.

Inoltre, è previsto uno sconto sul prezzo di conversione che nella prassi americana è nel range del 15/20%; non è invece sempre stabilita una eventuale data di restituzione dell’importo finanziato. Nulla vieta di mutuare nel regolamento degli SFP quanto ormai fa parte della best practice del SAFE Agreement. È il caso delle clausole di “accelerazione” che consentono all’investitore di convertire l’investimento anticipatamente rispetto alla data di conversione, in presenza di eventi noti – nella terminologia anglosassone – come “Equity Financing” e “Liquidity Event”, che consistono in operazioni di acquisizione della start up o futuri aumenti di capitale con l’ingresso di ulteriori investitori. Questa tipologia di clausole è, peraltro, spesso adoperata anche nei Convertible Note. Trovano, invece, un limite le clausole del SAFE che regolano il rimborso privilegiato dell’investimento al verificarsi di eventi (“Dissolution Event”) come (i) la cessazione volontaria del business, (ii) la cessione dell’azienda a beneficio dei creditori della società o (iii) la messa in liquidazione, lo scioglimento della società sia volontaria che involontaria. Per il diritto italiano, lo scioglimento della società dovuto alla perdita integrale del capitale e del patrimonio netto, comporterà l’erosione anche della riserva destinata agli SFP e quindi di fatto la perdita dell’investimento. Da qui la prassi contrattuale, che abbiamo visto essere molto dibattuta, di prevedere nel caso di perdite, che intaccano il patrimonio netto, l’erosione della riserva degli SFP subordinatamente all’assorbimento di tutte le altre riserve, compresa la riserva legale.

In conclusione, la prassi che si sta consolidando in questi anni consente sempre di più una reale flessibilità nel ricorso a strumenti di investimento/finanziamento come quelli qui descritti, che rappresentano un’opportunità in quanto sono un veicolo utile sia per la start up che può acquisire liquidità nel breve periodo sia per l’investitore che può modulare il proprio rischio d’impresa allocando a debito o a patrimonio netto – a seconda dei casi – il proprio investimento nell’ottica di una conversione a capitale legata a svariati fattori, non ultimo i risultati attesi della società.

Attualmente, il ricorso a strumenti convertibili nel breve periodo (es. sei mesi) è favorito, inoltre, dalle agevolazioni fiscali a favore degli investimenti a capitale stabilite dalla Legge di Bilancio 2017 e che dovrebbero essere operative prima dell’estate. In sostanza sottoscrivere oggi un Convertible con data di conversione fissata nell’autunno dovrebbe garantire all’investitore, se persona fisica, una detrazione Irpef del 30% sull’ammontare investito, se persona giuridica, una deduzione Ires pari al 30% sul proprio reddito imponibile.

In conclusione, la prassi in continua evoluzione come implementata da tutti gli attori coinvolti e il recente intervento del legislatore, sono sintomi importanti di crescita di un ecosistema che ha ancora margini ampissimi di sviluppo.

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