Inflazione ai massimi da 40 anni negli Usa
Ancora una fiammata al rialzo per i prezzi al consumo negli Stati Uniti
Inflazione

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Ancora una fiammata al rialzo per i prezzi al consumo negli Stati Uniti. L’inflazione Core (al netto dei prezzi dell’energia, quindi) che cresce dello 0,6% su base mensile in settembre, peggio delle stime, mentre quella generale va a 8,2 per cento. Le pressioni dei prezzi non si allentano e porteranno la Federal Reserve a incrementare il costo del denaro di ulteriori 75 punti base a novembre, quarto incremento consecutivo di tale spessore, con il tentativo ultimo di frenare una corsa che pare non avere freni. Intanto, la Banca d’Italia ha rivisto al ribasso le stime per l’economia domestica: nello scenario di base, vedono una crescita del Pil in Italia del 3,3% quest’anno, allo 0,3% nel 2023 e all’1,4% nel 2024. Ma attenzione. In caso di blocco delle forniture russe di gas il Pil si ridurrà del 3% quest’anno, si contrarrebbe di oltre l’1,5% nel 2023 e tornerebbe a crescere moderatamente solo nel 2024.

Il peggio, come sottolineato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) nel corso degli Annual Meetings di questa settimana, deve ancora arrivare. A settembre, i prezzi al consumo negli Stati Uniti sono aumentati rispetto al mese precedente più delle attese; superiore al consensus anche il dato annuale, che rimane vicino ai massimi degli ultimi 40 anni. Lo scorso mese, i prezzi sono aumentati dello 0,4%, contro aspettative che vedevano un +0,3 per cento. Lo ha comunicato il dipartimento del Lavoro, il Bureau of Labor Statistics (BLS). Il dato Core, cioè depurato dalla componente dei prezzi dei beni alimentari ed energetici, è salito dello 0,6%, contro attese per un +0,4 per cento. Su base annuale, il dato generale ha messo a segno un +8,2%, più dell’8,1% delle stime. Allo stesso tempo, l’inflazione Core americana è cresciuta del 6,6%, con le aspettative che erano per un incremento del 6,5% secondo il consensus di Bloomberg.

Meglio non andrà all’Italia, come spiegato dall’istituzione guidata da Ignazio Visco. Rispetto al Bollettino di luglio, Bankitalia rivede al rialzo le stime di inflazione per oltre mezzo punto nell’anno in corso, per più di due punti nel prossimo e per circa due decimali nel 2024. È quanto si legge nella nota di aggiornamento delle proiezioni macroeconomiche per l’Italia nel triennio 2022-24 rispetto a quelle pubblicate nel Bollettino economico di luglio, che non riflettono le valutazioni dell’Eurosistema anche se seguono la metodologia utilizzata nell’esercizio coordinato. “La revisione riflette in larga misura la dinamica delle componenti energetica e alimentare, ma vi incide anche un’accelerazione della componente di fondo, a cui si trasmettono, con un ritardo, i rincari dell’energia”, si spiega. “L’inflazione al consumo, misurata sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato (Ipca), si collocherebbe all’8,5 per cento nella media del 2022, principalmente per effetto dei forti rincari dei beni energetici, che si riflettono sull’indice generale dei prezzi sia direttamente, sia indirettamente per il loro impatto sulle altre componenti; vi contribuirebbe in misura significativa anche la crescita dei prezzi dei beni alimentari. Successivamente, una progressiva stabilizzazione dei prezzi dell’energia, seppur su livelli elevati, e l’attenuazione delle strozzature all’offerta favorirebbero una graduale riduzione dell’inflazione, che si porterebbe al 6,5% nella media del 2023 e al 2,3 nel 2024, anno in cui sarebbe trainata principalmente dall’andamento della componente di fondo, che esclude i beni alimentari ed energetici. Questa componente aumenterebbe del 3,2% nella media di quest’anno, del 3,1% nel prossimo e del 2,5% nel 2024. In modo analogo, la Banca d’Italia ha rivisto al ribasso le stime per l’economia che ora, nello scenario di base, vedono una crescita del Pil in Italia del 3,3% quest’anno, allo 0,3% nel 2023 e all’1,4% nel 2024. Nella Nota di aggiornamento rispetto al bollettino domina comunque “una elevata incertezza”. Preoccupa una eventuale stop alla fornitura del metano russo. Non tanto per l’anno in corso, quanto per l’inverno 2023/2024. Gli stoccaggi potrebbero essere in pericolo.

Negativa l’apertura per Wall Street. Il Dow Jones ha ceduto l’1,59%, lo S&P 500 il 2,05%, il Nasdaq il 2,8%. E sono arrivate anche le parole del presidente Joe Biden, secondo il quale il dato Cpi mostra “alcuni progressi nella lotta contro l’inflazione, ma c’e’ ancora del lavoro da fare”. Al massimo dal 2002, a quota 6,92%, i mutui trentennali negli Stati Uniti, secondo Freddie Mac. Sintomo che una possibile girandola di sfratti e ribassi dei prezzi è possibile in alcune aree statunitensi, come fu durante la crisi dei mutui subprime del 2006/2007. E secondo David Riley, capo degli investimenti di BlueBay Asset Management, il fondo non è ancora stato toccato. “A seguito del rapporto sull’inflazione, gli investitori stanno alzando le loro aspettative sul punto di arrivo dei tassi della Fed vicino al 5% nella prima metà del prossimo anno e i rendimenti dei Treasury stanno aumentando su tutta la linea, mentre le azioni stanno crollando a nuovi minimi. Questa sofferenza per Wall Street è purtroppo un’anticipazione di quella che vivrà Main Street, in quanto l’inflazione persistente manterrà i tassi di interesse più alti più a lungo”. Tassi più alti, più possibilità di default personale, più mutui in sofferenza, meno flussi di liquidità per i fondi d’investimento, più stress bancario, meno stabilità finanziaria. E con possibili rischi sistemici.

Pesante, alla luce del dato statunitense, è stato anche il responso del mercato valutario. Lo yen ha toccato un livello che non si osservava dal 1990 affondando contro il biglietto verde. La valuta giapponese ha ritracciato a quota 147,17 yen sul dollaro livello mai registrato in 32 anni, in quanto gli operatori finanziari ritengono che la Fed continuerà ad alzare bruscamente i tassi per combattere i rincari dei prezzi al consumo, mentre la Bank of Japan manterrà una politica monetaria ultra-accomodante. Stessa dinamica per l’euro, che perde quota sulla divisa statunitense, e passa di mano a 0,9658 mentre la sterlina resiste sulle voci (poi smentite) di un possibile cambio di rotta del governo sul fronte del bilancio e viene scambiata a 1,1168 sul biglietto verde. “Il peggio deve ancora arrivare”, ha avvertito Pierre-Olivier Gourinchas, capo economista del Fmi. Per banchieri centrali e governi sarà cruciale comprendere per tempo la ricetta per contrastare il quadro avverso all’orizzonte.

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