Integratori alimentari, il business è rosa: tra i manager uno su due è donna
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Le società che producono integratori alimentari si affidano a manager donne. Una ricerca del Centro studi di Integratori&salute, l’associazione nazionale che rappresenta il comparto degli integratori alimentari e che è parte di Unione Italiana Food, dice infatti che nel nostro Paese, in un’ azienda su 2 del settore, il 50% delle posizioni di vertice è ricoperta da donne, contro un dato medio nazionale dell’industria manifatturiera più basso di almeno 15 punti.

Quando si parla di parità di genere la cattiva notizia è che il tema dell’occupazione femminile continua ancora ad essere un grande tema, con la quota di lavoratrici che faticosamente sta sulla soglia del 50%. Risalendo la gerarchia, la quota si assottiglia sempre di più fino ad arrivare a numeri davvero molto piccoli. Non in tutti i settori, però come mostrano le imprese che producono integratori alimentari. Un settore tutt’altro che marginale. Ma vediamo cosa dicono i numeri.

La top ten degli integratori

I numeri di Unione italiana food ci dicono che nel 2021 il comparto degli integratori alimentari ha raggiunto i 4 miliardi di euro di fatturato, in crescita dell’8,2% dal 2014 ad oggi, e che nei primi 7 mesi del 2022 ha fatto registrare già un ulteriore aumento dell’8,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Secondo una stima del presidente di Integratori & Salute, Germano Scarpa, entro il 2025 verrà raggiunta la soglia di 5 miliardi. Con trend di crescita diversi a seconda dei prodotti. Così nel 2022 al primo posto troviamo i probiotici, con 398 milioni di euro (+11,3% sull’anno prima), seguiti da sali minerali con 234 milioni di euro (+7,9%), vitamine con 201 milioni di euro (+10%), tonici con 198 milioni di euro (+18%), integratori per il controllo della lipidemia con 172 milioni di euro (-7,1%). Più in fondo alla classifica, troviamo gli integratori per le funzioni immunitarie con 157 milioni di euro (+20%), insonnia e benessere mentale con 144 milioni di euro (-2%) e prodotti della tosse con 134 milioni di euro (+61%). Chiudono la graduatoria di questa “top 10” i lassativi con 134 milioni di euro (+3,8%) e gli antiacidi e anti reflusso con 124 milioni di euro (+18,4%).

Giovani e donne

A caratterizzare l’area manageriale del comparto c’è una certa presenza di giovani e donne. Nel primo caso i dati dicono che nel 27% delle aziende di integratori alimentari, almeno un membro del board aziendale è under 40, contro una media nazionale del 16%. E i trend di occupazione e assunzione sono positivi, con una quota maggioritaria di aziende che dice di voler ampliare i perimetri. Quanto alle donne, come detto, c’è una percentuale molto elevata nelle posizioni di vertice. Si tratta di una situazione decisamente atipica che ha una serie di spiegazioni nella specificità del business, nei risultati raggiunti e nel diverso approccio allo stile di vita da parte di uomini e donne. Tra le donne, come ci spiega Scarpa, «c’è una spiccata attenzione alla salute e soprattutto al mantenimento di uno stile di vita sano: questo fa sì che, a parità di altre qualità con il mondo maschile, le donne investano ancora più passione ed impegno in questo ambito e anche per questo motivo diventano spesso la ‘prima scelta’ per molte aziende. Il settore degli integratori, inoltre, punta molto anche sulla valorizzazione dei giovani talenti, che portando in dote idee nuove e visione sono in grado di plasmare l’impronta innovativa, che è uno dei tratti distintivi del nostro comparto».

Lo scenario

Nel tempo, le tipicità del settore hanno determinato una situazione che va lievemente controcorrente rispetto allo scenario del nostro Paese dove non sempre le donne sono incoraggiate sui percorsi di carriera, hanno stipendi mediamente più bassi a parità di mansioni e quand’anche riescono a emergere devono sempre superare molti ostacoli, tanto più se sono madri. Tutto questo ha una ricaduta sulla demografia del nostro Paese che ormai da anni è in fase recessiva ed è caratterizzata da un marcato calo della natalità, con un conseguente invecchiamento della popolazione molto più rapido rispetto al resto d’Europa. Da oltre 35 anni il numero medio di figli per donna è sotto 1,5, quindi ormai cronicamente lontano dalla soglia di 2 che consente un adeguato equilibrio tra generazioni. Riccarda Zezza, ceo e fondatrice di Lifeed (autrice del libro “Maternity as a Master”) osserva che «disincentivare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro è un danno non solo per loro, ma anche per il Paese. È una situazione che impoverisce tutti ed è per questo che sono indispensabili misure che agiscano a 360 gradi e fare spazio a un principio di cura maggiormente condivisa».

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