Kickstarter ha distribuito i primi dividendi ai suoi azionisti
Lievita in fretta il giro d’affari delle piattaforme di crowdfunding in Italia

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A rendere pubblica questa mossa avvenuta a marzo, e insolita per una startup, è stato Bloomberg. Perché insolita? La piattaforma di crowfunding fondata nel 2009 e con base a Brooklyn è sostenuta da venture capital (10M nel 2011). La logica degli investitori di solito è quella di guadagnare dalle quotazioni in borsa o dalle acquisizioni delle aziende in cui hanno messo dei soldi.

Il fatto che, come in questo caso, i guadagni non vengano reinvestiti nel business di Kickstarter, ma vengano distribuiti ai soci è quindi un’anomalia per il settore. La notizia della distribuzione dei dividendi non è stata resa nota subito ed è solo l’ultima delle particolarità nella strategia dell’azienda. L’anno scorso, infatti, Kickstarter ha deciso di classificarsi come public benefit corporation cioè una compagnia che come primo scopo non ha l’accumulo di profitto, ma la creazione di un vantaggio sociale. Nello specifico, Kickstarter si è impegnata a destinare il 5 per cento dei profitti a organizzazioni di beneficenza, senza cercare delle scappatorie per abbassare la pressione fiscale.

I fondatori di Kickstarter Perry Chen, Yancey Strickler e Charles Adler si sono sempre detti contrari alla quotazione in borsa della società e avevano fatto una scelta che andava in direzione contraria a quella della maggioranza delle aziende. E avevano annunciato questo loro orientamento in un post: «Dall’inizio di Kickstarter, ci siamo concentrati sull’essere al servizio di artisti, creativi e pubblico per portare alla luce dei progetti innovativi. Il nostro nuovo status di benefit corporation rappresenta questa missione al livello più profondo perché guida noi e i futuri leader di Kickstarter». Questa idea non ha però fatto desistere Union Square Ventures dal sostenere l’azienda. Fred Wilson, uno dei manager del venture, ha commentato: «Ho fatto i calcoli, ci ho pensato e ho concluso che ci sarebbe stato abbastanza flusso di cassa per poter distribuire i dividendi». E ha così convinto i suoi investitori a non abbandonare Kisckstarter.

L’approccio del venture è quindi quello di stare ad aspettare che i dividendi possano ripagare negli anni l’investimento iniziale. Ma dato che non è possibile stabilire quanto varranno in futuro, non si sa in quanto tempo comincerà a generarsi del profitto per loro. C’è anche chi rimane scettico su questa operazione. Come Seth Levine del Foundry Group: «Ogni compagnia che chiede dei soldi deve essere in grado di ripagare almeno 3 volte l’investimento iniziale». E si chiede se sia possibile farlo con i dividendi. In più c’è da considerare il tasso di crescita della società che pare essersi rallentato nell’ultimo anno: i fondi investiti sui progetti sono diminuiti della metà rispetto al 2014.

La questione della distribuzione dei dividendi riguarda anche i dipendenti di Kickstarter che hanno acquisito una quota della società. Il valore delle loro azioni di fatto è molto variabile e non possono sperare in grandi guadagni se l’azienda non si quota o viene comprata. Devono quindi farsi bastare i dividendi. L’esperimento di Kickstarter non è comunque l’unico in questo senso. Il venture capital Indie.vcfinanzia le società senza avere in cambio una quota di proprietà. Otterrà le sue azioni se l’azienda si quoterà in borsa, altrimenti riceverà del cash ogni anno per ripagare il suo investimento. In sostanza è un modo che le startup possono usare per non sentire il peso dei venture. Un po’ come lo strumento delle azioni preferenziali riscattabili che permettono all’azienda di ripagare gli investitori dopo un certo periodo di tempo.

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