Sardex è ben più di una moneta
Un modo virtuoso di pensare l’economia locale, interconnessa e collaborativa

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Dalla cucina di nonna Elvira a Serramanna alle università economiche più prestigiose d’Europa. È la parabola dei ragazzi di Sardex che senza alcuna laurea in economia hanno deciso di dare una spinta all’asfittica impresa sarda partendo da una riflessione umanistica e filosofica: trovare una moneta virtuale che fosse alla portata di chi veniva rifiutato dalle banche e che potesse dare respiro a chi iniziava a soffrire una crisi finanziaria che di lì a poco avrebbe fatto strage di imprese. Nasce così una delle più singolari e intelligenti aziende europee che in appena sette anni è riuscita a movimentare oltre 120 milioni di euro di beni e servizi e che nel solo 2016 darà vita a transazioni economiche per un totale du 80 milioni di euro.

Partendo da una semplice idea un piccolo gruppo di neolauereati di Serramanna decisero nel 2010 di far ragionare insieme i produttori dell’Isola consentendo loro di scambiare merci e servizi al di fuori di circuiti bancari che chiedevano troppi documenti, garanzie, fatica burocratica. Hanno creato così un sistema che permette alle imprese di finanziarsi reciprocamente senza interessi trasformando la loro capacità produttiva inespressa in splendida liquidità da spendere e investire.

Una ulteriore svolta della moneta che affonda la sua storia tanti secoli fa.

Poiché non poteva costantemente sopravvivere grazie al baratto il mondo si dotò di denaro, cioè il minimo comune multiplo tra merci diverse. Ma poiché il denaro è solo un bene fungibile non è detto che possa essere rappresentato solo dalle valute nazionali. Stando all’humanitas e all’etica monetaria che ha mosso questi ragazzi, come diceva San Tommaso d’Aquino, il valore della moneta viene sempre deciso dal re, il quale a sua volta accumula ricchezza in cambio di una debolezza altrui, l’acquirente.

Le bellezza di Sardex è che in sostanza il re è diventato il popolo (le aziende) che in questa moneta credono.

E tutto questo si è trasformato in un patto di fiducia che mette insieme 3200 consumatori e produttori, i quali comprano e vendono con una moneta che rappresenta la loro ricchezza al di fuori dal circuito bancario. Scacco matto al re, direbbe l’Aquinate. Tenendo ben presente però che nulla esclude l’altro e le due monete sono complementari.

Nel corso degli anni il modello Sardex ha gradualmente attirato l’attenzione di istituzioni internazionali tra le quali la Commissione Europea e il Dipartimento di Sviluppo delle Nazioni Unite, di importanti opinion leader nazionali e internazionali, come il “Financial Times”, e di prestigiose università come la Yale University, il Politecnico di Zurigo e la London School of Economics.

«Adesso il nostro prossimo passo sarà quello di aprire circuito in tutta Italia», dice Carlo Mancosu, uno dei soci fondatori. «Per adesso siamo presenti in undici regioni italiane e ormai ci chiedono consulenze anche dall’estero», racconta. «Perché benché esistano esperienze simili altrove o sian esistite nel passato, ci contraddistingue il fatto che nasciamo per essere circuito integrato, una sinergia, mai un’alternativa. E coinvolgiamo aziende, lavoratori e consumatori tenendo conto della domanda finale».

Ciò che muove questi giovani che studiamo continuamente le nuove frontiere dell’economia non è certamente la fame di ricchezza. In realtà la loro cultura umanistica li spinge a «pensare in termini più ampi a una crescita sociale nel territorio nel quale viviamo». Insomma gli inventori di Sardex sono tuttora rimasti attaccati all’idea di nonna Elvira nella sua casa di Serramanna che faceva torte e biscotti non per guadagnarci ma per averne indietro qualcosa: se non la felicità e il benessere delle persone attorno a lei. «Più che al do ut des, ti dò affinché tu mi dia, tipico di questo sistema economico, crediamo più a un do ut possis dare, ti dò affinchè tu possa dare ad altri».

E come Nonna Elvira e i suoi familiari, anche gli utenti di Sardex sono orgogliosi di fare parte di un specie di sistema organico che garantisce il benessere, in questo caso non dato da un’ottima torta ma dalla maggiore circolazione delle merci all’interno del sistema creato.

Secondo Carlo Mancosu se gli studi su questa nuova moneta «che è ben più di una “moneta” ma un sistema culturale prima che economico» venissero confermati dalle Università che stanno analizzando Sardex, risulterebbe che il suo impatto sul Prodotto interno lordo – non sostitutivo ma in buona parte aggiuntivo – ha contribuito notevolmente alla crescita del Pil isolano. «Infatti gli 80 milioni di cui abbiamo parlato per il 2016 rappresenterebbero in quel caso non tanto lo 0,25 per cento del Pil ma una percentuale della crescita di quest’ultimo».

Una cosa è certa. La crescita dell’azienda Sardex non si muove solo secondo le normali logiche economiche Si tratta invece di una crescita culturale basata fondamentalmente sull’innovazione di un sistema. Innovazione che è nata grazie all’amicizia di un gruppo di ragazzi che con la passione per l’economia e la premura di nonna Elvira in quella cucina di Serramanna hanno creato una fabbrica di sorrisi e del bene comune.

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