Airbnb apre al capitale di debito
Airbnb apre al capitale di debito

Ancora nessun commento

Il portale di home-sharing più famoso del mondo, fondato nel 2007 dagli studenti di design Joe Gebbia e Brian Chesky (costretti ad affittare parte del proprio loft a San Francisco non riuscendo più a pagarne il canone) e dal programmatore web Nathan Blecharczyk aveva finora contato “solo” su cospicui finanziamenti ricevuti a titolo di capitale di rischio: soldi, cioè, in cambio di azioni della società. Senza nessuna garanzia che vengano restituiti.Con la speranza, però, che la società cresca, produca ricavi, possa pagare dividendi ai coraggiosi azionisti e perché no un domani quotarsi in borsa e arricchirli a dismisura. Un ragionamento azzardato ma che finora ha permesso ad Airbnb di raccogliere, in questa forma, 2,39 miliardi di dollari da oltre 30 investitori, tra cui Y Combinator, Sequoia Capital, Baillie Gifford, Jeff Bezos e persino Ashton Kutcher.

Pochissimi giorni fa, però, Bloomberg annuncia l’apertura di Airbnb anche al capitale di debito: soldi, cioè, in cambio di soldi.

Che la società deve obbligatoriamente restituire, con tanto di interessi. Con queste premesse (e sicuramente molte garanzie) Airbnb ottiene 1 miliardo di dollari da un pool di banche formato da JP Morgan, Citigroup, Bank of America e Morgan Stanley.

Una prima riflessione sul perché di tale apertura è presto fatta: i tassi sono ai minimi, e gli interessi da corrispondere sul capitale di debito sono quasi sempre inferiori a quelli pretesi da chi rischia acquistando azioni. Se a chi investe capitale proprio interessano valore azionario e prospettive di crescita, alle banche basta (o quasi) che la società generi cassa sufficiente a ripagare il debito alle scadenze prestabilite. E di cassa Airbnb ne ha a profusione: gli addetti ai lavori parlano di 2 miliardi di dollari di liquidità, in aggiunta ad altri 2 miliardi e oltre derivanti dai depositi degli ospiti, parcheggiati nei conti Airbnb in attesa di essere trasferiti ai padroni di casa.

Una disponibilità che potrebbe però non essere il principale motore dell’interesse dei quattro colossi dell’investment banking. Come accadde nel 2012 con Facebook, se banche tanto grandi prestano somme tanto corpose a società tanto rischiose (di fatto, né Facebook né Airbnb possiedono o producono qualcosa di concreto su cui potersi rivalere in caso di insolvenza del debito) non lo fanno per gli interessi o per le commissioni. Lo fanno per quella che in gergo viene definita “relazione commerciale” con il cliente. Diventare una banca di relazione è semplice (spesso basta applicare tassi o condizioni più favorevoli degli altri) ma significa molto: ad esempio, essere scelti quale organizzatore e gestore di una futura, eventuale quotazione in borsa. Ruolo che per qualsiasi banca è sinonimo di un circolo virtuoso fatto di ricavi stellari, prestigio, notorietà, nuovi mandati e nuovi clienti.

Stando ad Airbnb, la somma ricevuta dovrebbe andare a finanziare lo sviluppo di alcuni nuovi servizi (tour guidati, prenotazione di ristoranti e affini). Il fatto curioso è che per farlo la società non aveva alcun bisogno di chiedere soldi in prestito. Un po’ perché li aveva già, un po’ perché a differenza d’altri (tipo Uber) il suo business è stabile (trattenuta fissa del 3% per il proprietario e del 6-10% per l’ospite) e basato su un modello che non richiede grandi investimenti, e un po’ perché, sempre a differenza d’altri (sempre tipo Uber) non ha validi competitor diretti (ci provano HomeAway, Craigslist e, ovviamente, gli hotel).

Sembra più plausibile, quindi, ipotizzare che questa raccolta sia stata guidata non tanto dal bisogno di fondi quanto piuttosto dalla volontà di testare l’appetito delle banche. Di lasciare che si crei un primo gruppo di pretendenti tra i quali scegliere il più adatto ad accompagnare all’altare Airbnb e il mercato borsistico. Un’unione che si preannuncia proficua, dato che la società si preannuncia in crescita: le proiezioni dei ricavi 2015 parlano di 900 milioni di dollari (di cui 340 generati solo nel terzo trimestre), desinati a diventare 10 miliardi nel 2020. Lo scorso novembre la società era valutata 25.5 miliardi di dollari, in crescita esponenziale rispetto ai 2.5 miliardi del 2013 e ai 10 miliardi dell’agosto 2014.

Le uniche ombre capaci di oscurare il radioso destino di Airbnb sembrano essere, come per altri (tipo Uber) le battaglie legali, che vedono la regina degli affitti online rispondere ad accuse riguardanti la tassazione, l’occupazione illegittima dei locali e persino il loro potenziale utilizzo quali case chiuse. La sensazione, per ora, è che non saranno questi a fermare la cavalcata dell’unicorno verso Wall Street.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Tumblr
Telegram
WhatsApp
Print
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ALTRI ARTICOLI

Più di 4 milioni i cittadini che vivono nei Comuni senza credito ne finanza

L’assenza di sportelli bancari sul territorio e l’abbandono da parte delle banche delle zone più periferiche è un problema per le persone, per i professionisti, per i risparmiatori, ma anche per le imprese: perché un minor numero di banche e di filiali, si traduce, concretamente, anche in meno credito, con conseguenze facilmente immaginabili sull’economia, sugli investimenti, sulla crescita.

Leggi »