La Corte Europea e le Ferie non Fruite
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Nei giorni scorsi la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che un lavoratore che decide di porre fine al rapporto di lavoro ha diritto ad ottenere un’indennità per i giorni di ferie non fruite. La sentenza è stata emanata a seguito di un ricorso presentato da un dipendente pubblico austriaco. La Corte ha confermato quanto disposto nella direttiva 2003/88 che prevede per ogni lavoratore dell’Unione Europea quattro settimane di ferie annuali retribuite; un elemento importante del diritto sociale che caratterizza la nostra comunità. Un principio talmente irrinunciabile da valere anche quando il rapporto di lavoro cessa per volontà del lavoratore e in definitiva in tutti i casi in cui non è possibile usufruire delle ferie annuali retribuite. La Corte ha stabilito che il lavoratore ha diritto ad un’indennità sostitutiva per far sì che egli possa beneficiare comunque di tale diritto seppure in forma pecuniaria.

La Corte ha sancito che il motivo della conclusione del rapporto di lavoro non è più rilevante ai fini del diritto al godimento delle ferie retribuite o alla loro sostituzione con un’indennità.

Nel settore pubblico italiano esistono casi come quello austriaco? Sembrerebbe proprio di sì. Per esempio da anni alcuni i lavoratori della scuola rivendicano tale diritto. “Nel settore privato, invece, l’ordinamento italiano è iperprotettivo perché non solo garantisce l’indennità sostitutiva delle ferie non godute, ma addirittura ne garantisce la doverosa fruizione – spiega Pierluigi Ledda, Coordinatore nazionale CaFirst – . Vige infatti il “divieto di monetizzazione delle ferie”, in attuazione del principio costituzionale di cui all’art. 36. Questo principio è poi confermato dal codice civile, che all’art..2109 , stabilisce espressamente che le ferie sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. Tecnicamente – continua Ledda – è il datore di lavoro “responsabile” della mancata fruizione delle ferie, che proprio per questa ragione, essendo finalizzate al recupero psico-fisico del lavoratore, non sono monetizzabili e vanno fissate comunque, anche in assenza di volontà espressa del lavoratore, a cura del datore di lavoro. Ricalcano questo principio di legge i vari contratti collettivi di settore, sia nel privato sia, con maggiore enfasi, nel pubblico”.

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