La crisi finanziaria ha sollecitato una revisione delle norme che governano il sistema finanziario
Il difficile governo in banca uic

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Nell’area dell’euro l’Unione bancaria è stata avviata in tempi assai stretti, dopo un confronto essenziale tra le istituzioni europee e i governi dei paesi membri. In Italia sono stati adottati e sono allo studio provvedimenti volti a rafforzare il sistema bancario, provato dalla lunga recessione, e a metterlo in grado di sostenere la ripresa dell’economia reale.

Nei mesi scorsi il Parlamento ha riformato il comparto delle banche popolari. I maggiori tra questi intermediari hanno da tempo superato l’ambito locale; come le altre grandi banche italiane essi si confrontano oggi con i cambiamenti imposti dall’integrazione economica e dalla tecnologia. La forma cooperativa ha limitato il vaglio da parte degli investitori e ha ostacolato la capacità di accedere con tempestività al mercato dei capitali, in alcuni momenti cruciale per far fronte a shock esterni. La riforma faciliterà lo svolgimento efficiente dell’attività di intermediazione creditizia in un mercato reso più competitivo dall’Unione bancaria.

La necessità che le fondazioni bancarie svolgano il ruolo di azionista nel rispetto dell’autonomia gestionale delle banche partecipate e diversifichino i propri investimenti era da tempo sottolineata dalla Banca d’Italia. Il Protocollo d’intesa fra il Ministero dell’Economia e delle finanze, cui compete la vigilanza sulle fondazioni, e l’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio muove in questa direzione. Il limite di concentrazione all’investimento in un singolo emittente tutela tanto l’interesse delle fondazioni quanto quello degli intermediari.

Viene presidiato il rispetto del divieto di controllo delle banche partecipate, anche congiunto o di fatto; viene migliorata la qualità degli organi, rafforzandone il grado di indipendenza.

Affinché le banche di credito cooperativo possano continuare a sostenere territori e comunità locali preservando lo spirito mutualistico che le contraddistingue
vanno perseguite forme di integrazione basate sull’appartenenza a gruppi bancari. La scarsa diversificazione dei rischi e la difficoltà di irrobustire il patrimonio stanno determinando, in non pochi casi, situazioni di crisi.

L’associazione di categoria è impegnata a formulare proposte concrete, che saranno valutate alla luce della loro capacità di rimuovere gli ostacoli alla ricapitalizzazione
e di risolvere i problemi di questi intermediari. Il cambiamento non può essere procrastinato.

Emergono segni di miglioramento nel mercato del credito. Le nuove erogazioni sono tornate a crescere dagli ultimi mesi del 2014; in marzo i prestiti alle imprese erano del 2,2 per cento più bassi di un anno prima, con una forte attenuazione della caduta che osserviamo da tre anni. L’ampio ricorso delle banche italiane alle operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine e l’avvio degli acquisti di titoli pubblici da parte dell’Eurosistema hanno consentito una diminuzione significativa del costo della raccolta bancaria; si sono tradotti in un graduale miglioramento di quello del credito. I tassi di interesse sui nuovi prestiti alle imprese sono scesi dall’inizio dello scorso anno di oltre un punto percentuale; il differenziale rispetto a quelli tedeschi e francesi si è più che dimezzato rispetto ai massimi di due anni prima. Nel corso del
2014 il calo dei tassi, che in precedenza aveva riguardato quasi esclusivamente le imprese esportatrici e di maggiori dimensioni, si è esteso anche alle aziende operanti sul mercato interno e di dimensioni minori.

Le condizioni creditizie restano tuttavia eterogenee. Nei settori dell’economia dove le prospettive sono già migliorate i prestiti alle aziende con condizioni finanziarie equilibrate hanno ricominciato a crescere. Nei settori per i quali la ripresa è più lenta, in particolare nelle costruzioni, si registra invece tuttora una flessione.

Nel primo trimestre di quest’anno la qualità del credito e la redditività dei maggiori gruppi bancari hanno dato segni di miglioramento, ma l’eredità della recessione pesa ancora sui bilanci delle banche. Alla fine del 2014 la consistenza delle sofferenze è arrivata a sfiorare i 200 miliardi, il 10 per cento del complesso dei crediti; gli altri prestiti deteriorati ammontavano a 150 miliardi, il 7,7 per cento degli impieghi. Prima della crisi, nel 2008, l’incidenza delle partite deteriorate era, nel complesso, del 6 per cento. A fronte di queste esposizioni le banche accantonano risorse cospicue; effettuano svalutazioni che assorbono larga parte del risultato operativo e limitano l’autofinanziamento.

Ne deriva un vincolo all’erogazione di nuovi prestiti.

L’elevata consistenza dei prestiti deteriorati risente anche dei tempi molto lunghi e variabili delle procedure di insolvenza e di recupero dei crediti, a loro  volta dovuti alla farraginosità della giustizia civile. Queste diffuse inefficienze deprimono il valore attribuito agli attivi deteriorati dai potenziali acquirenti, ne disincentivano la cessione sul mercato. Lo sfavorevole trattamento fiscale delle rettifiche su crediti, sebbene attenuato, non ne consente ancora la deducibilità immediata dal reddito imponibile, come invece avviene negli altri principali paesi europei; determina l’accumulo di attività per imposte anticipate. Sono in via di definizione misure per rimuovere questi svantaggi competitivi, che indeboliscono il sistema bancario italiano.

Lo sviluppo di un mercato secondario dei crediti deteriorati, oggi pressoché inesistente, contribuirebbe a riattivare appieno il finanziamento di famiglie e imprese. Proponiamo da tempo iniziative in questa direzione, anche con il concorso del settore pubblico; stiamo collaborando con il Governo a disegnarle, nel rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato. È in corso sul tema una discussione con le autorità europee, che auspichiamo sia rapida e costruttiva.

Nel 2014 il forte incremento dei coefficienti patrimoniali delle banche italiane – saliti in media all’11,8 per cento per la componente di migliore qualità, dal 10,5 dell’anno precedente – è stato conseguito soprattutto grazie agli aumenti di capitale realizzati nella prima parte dell’anno, da noi sollecitati; il contributo dell’autofinanziamento è risultato, per il sistema nel suo complesso, negativo. Per recuperare redditività le banche possono contenere ancora i costi e ampliare le fonti di ricavo.

Non pochi intermediari, soprattutto di medie dimensioni, stanno valutando operazioni di concentrazione, anche in risposta alle recenti innovazioni normative. I benefici potenziali delle operazioni sono cospicui ma non scontati; richiedono interventi decisi sul piano organizzativo, nella razionalizzazione dei sistemi distributivi, nella gestione dei rischi, nel ricorso alla tecnologia.

La revisione degli standard prudenziali internazionali mira a proteggere l’integrità del sistema bancario quale infrastruttura fondamentale per il funzionamento di una moderna economia di mercato. Le nuove regole su capitale, leva e liquidità, la definizione di meccanismi per la risoluzione delle crisi renderanno il sistema più stabile e ridurranno gli effetti di tali crisi sull’economia e sui conti pubblici. Al tempo stesso, ne deriveranno una riduzione della capacità delle banche di assumere rischi e una diminuzione strutturale del rendimento dei capitali in esse investiti.

L’erogazione di prestiti diverrà più selettiva; andrà stimolato lo sviluppo di forme alternative di finanziamento, necessarie per evitare una carenza di risorse per l’economia reale, da promuovere in un quadro regolamentare ben definito.

In prospettiva, lo spostamento di una parte del processo di intermediazione dalle banche ai mercati potrà giovare sia alle imprese sia alle famiglie, consentendo alle prime di ampliare le fonti di finanziamento, alle seconde di diversificare maggiormente il risparmio. Le banche potranno mantenere un ruolo centrale all’interno del sistema finanziario se sapranno accompagnare questa evoluzione espandendo l’attività dal lato dei servizi e affiancando le imprese nella raccolta diretta di capitali. Una tale tendenza è in atto in molti paesi, ma da noi la transizione non sarà facile. Lo scarso sviluppo del mercato italiano dei capitali riflette le caratteristiche della struttura produttiva e le conseguenti difficoltà di valutare rischi e opportunità degli investimenti finanziari.

La leva finanziaria delle banche, misurata dal rapporto tra passività complessive e capitale proprio, si sta riducendo in tutti i maggiori paesi. Negli Stati Uniti quella dei dieci principali istituti si è dimezzata dal 2007; gli effetti sull’offerta di finanziamenti complessivi all’economia sono stati limitati grazie all’apporto dei mercati; i titoli obbligazionari rappresentano oltre il 40 per cento dei finanziamenti alle imprese.

Il grado di leva delle banche si è molto ridotto anche nell’area dell’euro, in relazione sia agli aumenti di capitale sia alla diminuzione del credito. Dal 2007 i prestiti alle imprese sono scesi, in rapporto al PIL, di cinque punti percentuali, al 42 per cento. Le possibilità di compensazione offerte dal mercato finanziario sono contenute: alla fine del 2014 le obbligazioni rappresentavano poco più del 10 per cento dei debiti finanziari delle imprese. In mancanza di un forte aumento della loro capacità di autofinanziamento, un riequilibrio troppo rapido dei bilanci bancari finirebbe per avere effetti prociclici sull’economia, rischiando di innescare circoli viziosi tra riduzione del credito e indebolimento dell’attività produttiva.

La costruzione di un sistema articolato – in grado di offrire all’economia, non nell’ombra ma in piena trasparenza, il necessario sostegno finanziario – è un obiettivo indifferibile. La Commissione europea ha avanzato proposte per la realizzazione di una Unione dei mercati dei capitali entro il 2019. Le riforme prospettate mirano a rimuovere gli ostacoli alla raccolta di capitale di rischio e di debito, in particolare da parte delle piccole e medie imprese e al di fuori dei confini nazionali. Il successo dell’iniziativa richiede di procedere anche nell’armonizzazione delle legislazioni in materia societaria, fallimentare, fiscale.

In Italia sono stati compiuti interventi importanti per rafforzare il mercato dei capitali. L’emissione di capitale di rischio da parte delle imprese è stata incentivata con la sostanziale eliminazione dello svantaggio fiscale nei confronti del finanziamento con debito. Sono stati introdotti benefici, sempre di natura fiscale, per le quotazioni in borsa e per i fondi di venture capital e incentivi all’emissione di obbligazioni da parte di società non quotate. È stata estesa alle compagnie di assicurazione la facoltà di erogare prestiti; sono stati regolamentati i fondi di credito. Un ulteriore contributo verrà dalla riforma dell’intermediazione finanziaria non bancaria, la cui attuazione è a uno stadio avanzato. I risultati di questi interventi sono positivi, ma rimane molta strada da percorrere, anche sul piano dell’informazione e della formazione finanziaria.

per consultare l’intero documento delle Considerazioni Finali, clicca qui.

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