“La cura Draghi funziona ma una BCE troppo dura con le banche italiane può soffocare la ripresa”
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Svolge un ruolo decisivo nel sistema del credito nazionale, il vicedirettore generale della Banca d’Italia affianca il governatore Ignazio Visco nei negoziati all’Eurotower su tassi d’interesse e sie- de nel consiglio che da Francoforte vigila su tutti gli istituti. Sottolinea i buoni risultati delle scelte della politica monetaria: «Il Qe sta già funzionando, calano tassi sul debito pubblico e più lentamente quelli praticati a clienti e imprese, presto potremo quantificare gli effetti sulla crescita nel 2015».
Ma in Italia l’anello debole potrebbero essere proprio le banche: «Non si può pensare di risolvere i problemi aumentando in modo continuo, indiscriminato ed eccessivo i requisiti di capitale, frenando ancora l’offerta di credito. L’Unione bancaria è nata per costruire un sistema solido, dobbiamo trovare il giusto punto d’equilibrio fra stabilità e impulso all’economia»
“La cura Draghi funziona ma una Bce troppo dura con le banche italiane può soffocare la ripresa”
IL NOME
di Fabio Panetta, 55 anni, non è molto noto al grande pubblico ma il suo ruolo è estremamente sensibile per l’economia italiana. Come vicedirettore generale della Banca d’Italia, affianca il governatore Ignazio Visco nei negoziati alla Banca centrale europea sui tassi d’interesse e i piani di acquisti di titoli di Stato. In parallelo siede nel Consiglio unico di vigilanza, il braccio dell’Eurotower che da novembre controlla i principali istituti di credito italiani ed europei. È Panetta che ha seguito per Bankitalia il confronto sugli esami europei appena affrontati dalle banche. In questi mesi non sono mancate le tensioni ma, dice, grazie anche alla Bce ora la ripresa è a un passo.
La Bce presto comprerà titoli pubblici e privati, ma i tassi d’interesse sono già bassissimi. Così gli interventi possono ancora avere degli effetti?
«Li stanno già avendo. Da quando Mario Draghi ha annunciato il nuovo programma i tassi sui Btp sono scesi di 90 punti-base (0,90%) e il cambio, molto importante per l’Italia, si è fortemente deprezzato. L’impatto e la natura stessa del piano di acquisti hanno sorpreso in modo positivo per gli importi da 1140 miliardi, la durata di 19 mesi e il fatto che gli interventi potranno continuare fino a raggiungere l’obiettivo di inflazione. Tutto questo determinerà un’accelerazione della crescita, un effetto che sarà significativo e che stiamo stimando. Il governatore Visco fornirà una valutazione al convegno Atic-Forex sabato prossimo ».
Ma le imprese italiane ricavano due terzi del credito dalle banche, non emettendo titoli. E le banche restano avare.
«Anche i tassi che le banche praticano alla clientela stanno calando, grazie alla discesa dei tassi sui titoli di Stato. Con lentezza, ma stanno calando. La diminuzione della spesa per interessi che ne deriverà avrà effetti positivi sulle imprese e sulla qualità del credito, stimolando l’offerta di nuovi prestiti, oggi frenata dall’elevato tasso d’insolvenza della clientela bancaria. La domanda di credito per ora resta debole, ma se ripartono consumi e investimenti il quadro cambierà. Il piano della Bce sta già funzionando e nei prossimi mesi gli effetti diventeranno ben visibili».
In Germania si pensa che quando la Bce dà una mano all’Italia, l’Italia tira i temi in barca e smette di fare riforme. Davvero è un sospetto infondato?
«Non condivido questa tesi. Si sostiene che gli acquisti della Bce nell’immediato diano sollievo e che questo possa ridurre la spinta a fare riforme. Ma è più probabile il contrario. Supponiamo che la Bce non faccia gli interventi, ossia che non adotti una politica monetaria adeguata all’attuale congiuntura. Che succederebbe? Avremmo minore crescita, più disoccupazione e movimenti anti-europei più forti. Questo renderebbe più difficile — non più facile — per i governi europei introdurre le riforme che sono necessarie. Io credo invece che gli interventi della Bce favoriranno le riforme: sappiamo bene che nel breve termine le riforme possono avere effetti non positivi, dunque se c’è un adeguato sostegno alla congiuntura diventa tutto più agevole».
È dura però che ripartano gli investimenti, se le banche restano zavorrate dai crediti inesigibili. Condivide il piano del ministro Padoan, che parla di una bad bank per ripulire i bilanci bancari?
«La bad bank è un concetto diverso da quello che ho in mente. La bad bank è stata utilizzata in sistemi in cui le banche erano in crisi. Da noi la situazione è diversa. Le banche hanno superato il comprehensive assessment (gli esami della Bce, ndr), quelle che dovevano ricapitalizzarsi lo hanno fatto o lo stanno facendo e oggi abbiamo parametri in linea con le norme di vigilanza. Ora le banche dovranno rivolgersi sempre di più ai mercati internazionali per finanziare la ripresa economica e questo sarà più agevole se si libereranno della zavorra dei crediti deteriorati ».
Vede un ruolo dello Stato, per aiutarle a farlo?
«Le banche stanno già dismettendo i crediti deteriorati. Se lo fa una banca, non ci sono problemi. Ma se dovesse essere tutto il sistema a rivolgersi contemporaneamente al mercato, il mercato potrebbe non avere la capacità di finanziare quell’operazione. In questo caso vi può essere un ruolo per un operatore pubblico. Vede, all’estero non capiscono fino in fondo perché la consistenza dei crediti deteriorati sia così elevata in Italia. Non hanno idea ad esempio della lentezza dell’intero processo per risolverli: non riescono a immaginare un paese dove il recupero dei crediti richiede in certi casi fino a 15 anni».
Dunque per ripulire le banche e far ripartire gli investimenti ci vuole una riforma della giustizia?
«Se la giustizia funzionasse meglio ci sarebbero meno problemi anche per le banche, certo».
Nelle banche popolari si dice che la fine del sistema “una testa-un voto”, decisa del governo, costerà 20 mila posti di lavoro. Che ne pensa?
«Il provvedimento non mette in discussione il modello popolare o cooperativo. Questo è implicito nel fatto che solo le grandi popolari dovranno trasformarsi in società per azioni. Credo che i banchieri più capaci sfrutteranno queste misure per conseguire guadagni di efficienza, crescere, entrare in mercati nuovi, sostenere le imprese migliori».
Voi in Banca d’Italia avete dissentito dai criteri degli esami Bce il giorno stesso in cui furono pubblicati, con dati critici per l’Italia. Certi banchieri italiani dicono che Bankitalia è debole nell’Eurotower, che non li difendete.
«Abbiamo detto che il disegno dello stress test europeo aveva caratteristiche che svantaggiavano le banche italiane. Lo abbiamo messo agli atti in Bce durante la preparazione dell’esercizio. Devo dire però che non colgo la posizione che lei dice da parte dei banchieri. I banchieri sanno che i risultati del comprehensive assessment hanno tenuto conto — pur se in maniera non del tutto adeguata — delle specificità e dei punti di forza delle nostre banche grazie al contributo della Banca d’Italia».
Teme che la vigilanza europea richieda alle banche ancora più capitale, oltre quanto previsto fino ad oggi?
«Questa possibilità ovviamente esiste, è una facoltà del Consiglio di vigilanza. Ma non si può pensare di risolvere i problemi delle banche aumentando in modo continuo, indiscriminato ed eccessivo i requisiti di capitale. Questo frenerebbe di nuovo il credito e soffocherebbe la ripresa. Non dimentichiamo che la Banking Union è nata per costruire un sistema bancario europeo solido, in grado di finanziare famiglie e imprese, e che per raggiungere quell’obiettivo dobbiamo trovare il giusto punto d’equilibrio fra stabilità delle banche e impulso all’economia».
Con il piano Bce, voi in Banca d’Italia state per comprare 120 miliardi di titoli pubblici italiani. Farete accantonamenti per proteggervi dal rischio?
«L’operazione potrebbe essere di entità leggermente superiore a quella che lei cita e determinerà un incremento del bilancio della Banca d’Italia dell’ordine del 30%. Ora, è chiaro che ciò avrà un impatto significativo sui ricavi, ma anche sui rischi. E non intendo rischi di credito, cioè di insolvenza, ma rischi di mercato. Non abbiamo ancora definito se terremo i titoli fino a scadenza; faremo comunque gli accantonamenti per i rischi di mercato».
Dunque anche le banche italiane, che hanno 400 miliardi di titoli di Stato in bilancio, dovranno farne?
«Li fanno già. Non per il rischio di insolvenza, ma per quello di fluttuazioni dei prezzi di mercato».
Fra il nuovo governo di Atene e i Paesi creditori la tensione è salita. Vede un rischio reale che la Grecia esca dall’euro? E l’area euro resisterebbe allo choc?
«Credo che alla fine ognuno farà la scelta più conveniente, indipendentemente dalle posizioni prese in precedenza. E l’uscita dall’euro non è nell’interesse né dei greci, né degli altri paesi europei. Sarebbe illogico se i progressi già ottenuti dalla Grecia — con costi significativi — fossero sprecati. La Grecia è tornata a crescere, e già dal 2013 ha un avanzo di bilancio prima di pagare gli interessi. È vero, è una possibile fonte di rischio per l’intera area. Ma l’unione monetaria oggi ha maggiori capacità di reagire a tensioni anche estreme rispetto al passato. Già dal 2012 abbiamo l’Esm (il fondo salva- Stati, ndr), e l’unione bancaria ha ristabilito fiducia nelle banche. Anche i paesi del Nord hanno accettato il nuovo programma di acquisti della Bce: è indice di un forte impegno a difendere l’Unione monetaria. Ci sono tutti i presupposti perché i mercati restino in condizioni ordinate».
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