La progressiva commercializzazione di perizie su contratti bancari
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Negli ultimi sei anni, quelli della progressiva crisi che ha investito tutti i settori produttivi del nostro Paese, la sensibilità nei confronti delle banche è mutata radicalmente.
Da cultura medievale del vassallaggio bancario, da figura considerata inattaccabile e facente parte dei poteri forti, si è passati a una sensibilità nei confronti del sistema ‘banca’ diametralmente opposta.
Adesso è diventata un soggetto attaccabile, non infallibile e di certo non sacro come lo si era immaginato per decenni.
AZIONI SOCIETARIE PIÙ ‘SPINTE’. In questa nuova accezione condivisa hanno trovato spazio molte società che, in qualche modo più o meno opinabile, hanno effettuato azioni commerciali ‘spinte’ al fine di collocare perizie «econometriche», «inoppugnabili», «certificate», «legali», «brandizzate» e così via.
Meglio chiarirsi subito: il momento peritale all’interno di un contenzioso bancario, piuttosto che una fase conciliativa con un istituto di credito, è un evento di evidente importanza ma a posteriori, non per forza necessario e soprattutto finalizzato a dare risposta a quesiti che o sono posti dal committente (perizia di parte) o sono posti dal giudice (perizia d’ufficio).
COMMERCIALIZZAZIONE PROGRESSIVA. Ora, negli ultimi anni si è assistito a una progressiva commercializzazione di perizie su contratti bancari come se fossero polizze assicurative o offerte da porta-a-porta (in almeno un caso eclatante si è provveduto a imbastire un opportuno marketing piramidale per il collocamento di prodotti peritali su conti correnti a discapito della professionalità che dovrebbe contraddistinguere questo settore).
Da parole tabù, «anatocismo» e «usura» avevano finito per soppiantare i discorsi da bar sulla Serie A e la Champions League.
Per gli avvocati azzeccagarbugli, terminato il sogno delle cause «gratuite» sull’Rc auto, la nuova frontiera era il «facciamo causa alle banche».
Stranamente solo i commercialisti, che ne dovevano capire qualcosa in più (o forse proprio perché ne capivano), sono rimasti sull’uscio a osservare il mutare del palcoscenico, non credendo del tutto alla nuova religione.

Progressivo deteriorarsi delle professionalità

Il risultato è triste come il viso di Pierrot: i tribunali di merito rigettano il più delle proposizioni presentate dai clienti. Il motivo? La fondatezza.
Si assiste pertanto a un progressivo deteriorarsi delle professionalità e delle competenze messe in campo nel contenzioso bancario, in special modo nella redazione di perizie su rapporti di credito (fidi su conti correnti, mutui, finanziamenti e leasing).
Ex promotori, ragionieri, consulenti di ogni risma e razza, che fino a ieri collocavano consulenze estranee al sistema bancario, decidono di acquistare un qualsiasi software per effettuare elaborati oppure scelgono di affiliarsi a quelle due-tre società che in Italia hanno «mercificato» un qualcosa che dovrebbe essere trattato con riguardo.
Una perizia su un rapporto bancario può contenere innumerevoli variabili, ogni rapporto ha una storia a sé e soprattutto deve essere chiaro il motivo per cui viene condotta.
MARKETING DA COPIA-INCOLLA. Nella mercificazione assistiamo, invece, a un making peritale da copia-incolla che addirittura, in alcuni casi, partorisce perizie scritte già come sentenze senza sollevare quesiti sui comportamenti illeciti, ma fornendo subito in modo inoppugnabile il quantum da ristornare al cliente.
Ovviamente questi elaborati non sono firmati e sono redatti rigorosamente su carte intestate di società che, pur di aumentare il loro appeal commerciale, riempiono le impaginazioni con loghi di certificazioni di qualità o di lavoro etico.
Be’, che ti comporti bene con i dipendenti o faccia la raccolta differenziata in ufficio a me può solo far piacere ma, per favore, spiegalo al cliente che ti ha pagato una perizia semplicemente inutile.
PERIZIE ETICHE? NO, TECNICHE. Le perizie (non solo in campo bancario) non sono «certificate», ma «asseverate»; le perizie non sono «etiche» bensì «tecniche»; non sono «inoppugnabili» ma servono a suffragare tesi e ad aprire quesiti sulla liceità dei comportamenti.
A latere vi è poi un discorso sul prezzo di tali elaborati: a sentir parlare i periti, è sempre tutto gratuito.
Ebbene, mi sono spacciato innumerevoli volte per cliente, scoprendo che «gratuito» significava versare un deposito cauzionale (per cosa?); che la «valutazione iniziale» era gratuita… ma adesso non vuoi investire per recuperare il maltolto?; che per il momento ricevi un foglio (uno!) poi, se gradisci il resto della perizia, paghi… E via dicendo.
Se è tutto così gratuito, così inoppugnabile, perché non c’è una corsa ai contenziosi bancari?

Messa in mora e la mediazione condizioni necessarie

Facciamo un piccolo passo indietro e analizziamo i passaggi che occorrono oggi, in base alle ultime normative, per percorrere tutto l’iter di un contenzioso bancario.
Dando per scontato che il cliente abbia tutta la documentazione e che parliamo di un rapporto in bonis (cioè che non presenta alcuna criticità), andrà redatta una formale lettera di messa in mora da parte del legale del cliente nei confronti dell’istituto di credito e forniti 90 giorni di tempo alla banca per rispondere.
Se la risposta non arriva o non è soddisfacente, il legale dovrà invitare la banca presso una Camera di conciliazione per effettuare la mediazione.
La messa in mora e la mediazione sono condizioni necessarie per procedere in seguito con l’azione in tribunale. Se la mediazione, infatti, non dovesse sortire gli effetti sperati, finalmente il legale potrà proporre un’azione nel tribunale di competenza. A questo punto avere una perizia asseverata fortifica e facilita la proposizione delle proprie doglianze innanzi a un giudice.
LA CONCILIAZIONE HA UN COSTO. È bene sottolineare che, al di là dei costi dei professionisti impiegati, la Camera di conciliazione ha un costo (anche ingente se la banca decide di aderire ma non si raggiunge un accordo) e in seguito il cliente dovrà anche acquistare contributi e bolli per proporre l’azione legale.
Se pensiamo che tutti questi costi sono parametrati al valore della controversia e che, nel contenzioso bancario, si parla sempre di importi per svariate migliaia di euro, è facile comprendere come per le sole spese vive la parte sarà costretta a un esborso importante.
Aggiungiamoci la parcella del legale, il costo della perizia e la nomina del consulente di parte e si comprende la portata economica dell’operazione.
Con l’avvento del «commercialesimo» e la mercificazione delle perizie, si cerca semplicemente di collocare il prodotto peritale e basta.
O meglio, l’evento peritale diviene il primo passaggio (improprio) in un momento ove basterebbe un semplice studio di fattibilità per poter evincere sommariamente i presupposti di dolo e la cifra massima ricavabile da un eventuale contenzioso.
CONTA LA PSICOLOGIA COMMERCIALE. Il problema risiede nei costi e nella psicologia commerciale spiccia: uno studio accompagnato da una consulenza sincera può far perdere appeal con il cliente che, viceversa, se già è legato a me da una perizia, accetterà, suo malgrado, di proseguire l’operazione.
Purtroppo, nel quadro economico odierno, chi è interessato a effettuare un contenzioso bancario è soprattutto l’imprenditore in stato di crisi che di certo non possiede grandi risorse.
Pertanto un discorso così delicato, che rientra nella sfera più intima della gestione della propria attività, dovrebbe essere demandato a consulenti tecnico-legali preparati in materia, esclusivamente dedicati al contenzioso bancario (che necessita di un costante aggiornamento) e soprattutto conoscitori del territorio e delle sue dinamiche (intese come rapporti fra il territorio e gli istituti di credito presenti).
DISILLUSIONE NEI CLIENTI. Purtroppo assistiamo (e assisteremo) ad approssimazione e superficialità nell’approccio che, dissacrando il diritto bancario, ingenereranno una disillusione nei confronti dei clienti acquisiti e potenziali che porterà fra qualche anno alla frase del solito italiota: l’avevo detto io che non si va contro le banche.

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