L’attuale normativa di vigilanza ha valorizzato fortemente il ruolo del Consiglio di Amministrazione
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A tal fine è la normativa stessa che si preoccupa di individuare tre requisiti precisi, richiedendo espressamente professionalità, onorabilità ed indipendenza. Per quanto concerne il primo dei tre, la professionalità, esso esige che i singoli candidati a Consigliere di Amministrazione debbano esserne in possesso mediante l’aver maturato un’esperienza complessiva di almeno un triennio attraverso l’esercizio di:

  • attività di amministrazione o di controllo ovvero compiti direttivi presso imprese;
  • attività professionali;
  • attività d’insegnamento universitario in materie giuridiche o economiche;

– funzioni amministrative o dirigenziali presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo ovvero presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni che non hanno attinenza con i predetti settori purché le funzioni comportino la gestione di risorse economico-finanziarie. Il candidato a Presidente del Consiglio di Amministrazione deve avere maturato le esperienze sopra indicate per almeno un quinquennio. I canditati alla nomina di Consigliere di Amministrazione devono essere inoltre in possesso del requisito di onorabilità previsto dalle disposizioni di legge e di vigilanza e non devono sussistere cause che possono comportare la sospensione dalla carica o che impediscono l’esercizio della carica stessa. Ed infatti a carica di Consigliere di Amministrazione non può essere ricoperta da coloro che:

  1. si trovano in una delle condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall’articolo 2382 del codice civile;
  2. sono stati sottoposti a misure di prevenzione disposte dall’Autorità giudiziaria ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni e integrazioni, salvi gli effetti della riabilitazione;
  3. sono stati condannati con sentenza irrevocabile, salvi gli effetti della riabilitazione:
    1. a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari e di strumenti di pagamento;
    2. alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile e nel regio decreto del 16 marzo 1942, n. 267;
    3. 3) alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria;
    4. alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per un qualunque delitto non colposo.

La predetta carica, inoltre, non può essere ricoperta da coloro ai quali sia stata applicata, su richiesta delle parti, una delle pene previste alla precedente lettera c), salvo il caso dell’estinzione del reato; le pene previste dai numeri 1) e 2) non rilevano se inferiori a un anno;  I candidati a Consigliere di Amministrazione quando eletti inoltre sono sospesi dalla carica nel caso abbiano riportato:

  1. la condanna con sentenza non definitiva per uno dei reati di cui al precedente punto 1. lett. c);
  2. l’applicazione su richiesta delle parti di una delle pene di cui al precedente punto 1. ultimo periodo, con sentenza non definitiva;
  3. l’applicazione provvisoria di una delle misure previste dall’art. 10, comma 3, della legge 31 maggio 1965, n. 575, da ultimo sostituito dall’art. 3 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e successive modificazioni e integrazioni;
  4. l’applicazione di una misura cautelare di tipo personale;

I candidati a Consigliere di Amministrazione quando eletti non possono coprire la carica nel caso in cui, per almeno i due esercizi precedenti l’adozione dei relativi provvedimenti, abbiano svolto funzioni di amministrazione in imprese sottoposte a fallimento, a liquidazione coatta amministrativa o a procedure equiparate. Le frazioni dell’ultimo esercizio superiori a sei mesi equivalgono a un esercizio intero.

Tale impedimento riguarda anche coloro che:

  1. hanno svolto funzioni di amministrazione in imprese operanti nel settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo sottoposte alla procedura di amministrazione straordinaria;
  2. nell’esercizio della professione di agente di cambio non abbiano fatto fronte agli impegni previsti dalla legge o si trovino in stato di esclusione dalle negoziazioni in un mercato regolamentato. L’impedimento in parola ha la durata di tre anni dall’adozione dei provvedimenti. Il periodo è ridotto a un anno nelle ipotesi in cui il provvedimento sia stato adottato su istanza dell’imprenditore o degli organi amministrativi dell’impresa.

Oltre a quanto sin qui illustrato, è altresì richiesto un livello di indipendenza tale da non pregiudicare la sana e prudente gestione dell’intermediario.  Sono da evitare infatti commistioni politiche (d operative che si traducano, agli occhi della vigilanza, in forme di ingerenza e di pressione che, in qualche modo, possano condizionare le scelte aziendali del Confidi verso obiettivi non finalizzati alla citata sana e prudente gestione.  Del resto la stessa Banca d’Italia ha avuto modo, in più occasioni, di sottolineare come gli intermediari debbano dotarsi di assetti di governance efficaci, di professionalità adeguate, di manager capaci e autonomi i quali ispirino i propri comportamenti a rigore e indipendenza. In un intervento pubblico, ha tra l’altro avuto modo di affermare come “in più casi, a far parte degli organi aziendali sono chiamati esponenti di enti pubblici, associazioni di categoria, imprese, che non svolgono professionalmente tale compito; vi si dedicano su basi poco più che volontarie: questo aspetto può generare problematicità. La Vigilanza sottolinea, comunque, che sono necessari, per i confidi, esponenti validi e qualificati che responsabilmente si assumano l’onere di gestire un intermediario da cui sono attesi comportamenti ispirati a una gestione sana e prudente.”  Ancora, a proposito dei Confidi, Banca d’Italia (Corrado Baldinelli, Capo del Servizio Supervisione Intermediari Specializzati): “dalle prime evidenze emerse dagli approfondimenti di vigilanza cartolare e ispettiva sottolineano le necessità di rimuovere alcune distorsioni – relativamente al profilo dell’autonomia gestionale – presenti nel rapporto tra il Confidi e la rispettiva associazione di categoria. Questo rapporto è ambivalente: da un lato vi sono i benefici, tradizionalmente richiamati dalla letteratura e dall’esperienza, connessi con la conoscenza più approfondita della clientela, resa possibile dalla mediazione dell’associazione di categoria, presente con le sue articolazioni in modo capillare sul territorio. Dall’altro, però, possono emergere condizionamenti impropri che rischiano di piegare l’autonomia del Confidi a volontà esterne, riconducibili al criterio dell’appartenenza.  Ne possono risultare condizionate le decisioni in materia di strategie e presenza territoriale, le scelte allocative, la politica degli investimenti immobiliari, quella del personale.

Questo dell’indipendenza è dunque un requisito assai rilevante per il legislatore bancario: basti pensare che il Codice Civile richiede ex art. 2399 il rispetto del requisito di indipendenza ai soli membri del collegio sindacale, e le norme europee non impongono il possesso dell’indipendenza agli esponenti aziendali come invece viene espressamente richiesto dal legislatore bancario.  E’ importante dunque prestare la giusta attenzione nel selezionare le figure che vanno a ricoprire il ruolo di consigliere di CDA.

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