Le banche centrali alla sbarra
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Nei primi giorni di settembre gli investitori, appena tornati dalle vacanze e preoccupati per dati ciclici in flessione passati nelle settimane precedenti, si aspettavano di ricevere buone nuove con rilanci nelle politiche monetarie: segnatamente da Bce e da BoJ, auspicando anche maggiore chiarezza sulle intenzioni future della Fed. Tuttavia la realtà è stata deludente e ha esposto i mercati ad una crescente fragilità, oltre a instillare la consapevolezza di essere sempre più vicini alla fine di un ciclo di continua espansione, si legge in una nota di Consultinvest, la società guidata da Maurizio Vitolo. Nello specifico la BoJ aveva promesso una analisi omnicomprensiva e una conseguente revisione del suo QQE in grado di generare aspettative per annunci importanti: magari un aumento degli acquisti e soprattutto una loro estensione a titoli non governativi. Invece la BoJ si è limitata ad un obiettivo di innalzare la struttura dei rendimenti governativi sulle scadenze più lunghe al fine di dare ossigeno ai bilanci di banche, assicurazioni e fondi pensione e quindi dare ossigeno ad una parte importante della Borsa giapponese e del sistema pensionistico nazionale. Un’intenzione, emersa già durante l’estate che aveva portato ad una curva più ripida (+50 bps tra il 30 e il 2 anni di scadenza) e a rendimenti positivi sulle obbligazioni governative più lunghe. Peccato che questo desiderio per una curva più ripida e rendimenti a lunga scadenza più alti contraddice uno dei fondamenti del QE. Ovvero quello di introdurre acquisti forzati di titoli per traslare sulle scadenze più lunghe il ribasso dei tassi ufficiali di politica monetaria – ormai a zero o negativi – e abbattere così il premio sul rischio finanziario stimolando investimenti finanziari e la ripresa economica. Inoltre questo obiettivo di alterazione della curva dei tassi da parte della BoJ non è di facile realizzabilità tecnica quando la banca centrale è impegnata ad acquistare titoli al ritmo di 80 Tn Yen annui. Fatto sta che con questo ultimo passo la BoJ ha indebolito significativamente la sua credibilità mostrando di essere entrata in una fase di crescente difficoltà nel riuscire a centrare i propri obiettivi. Ormai anche i suoi méntori politici, soprattutto dopo il fallimento dell’esperimento dei tassi negativi di Gennaio, paiono sempre più propensi ad “abbandonarla”.

La stessa Bce non ha saputo dare al mercato nuove indicazioni “di sostanza”. Si è limitata a generiche promesse di un maggior sostegno, nonostante abbia contemporaneamente evidenziato nuove previsioni di debolezza economica e abbia invocato con maggior vigore la necessità di un ruolo più espansivo per le politiche fiscali, aggiunge la nota di Consultinvest. Anche qui vediamo segni di difficoltà. Le stesse tensioni viste nel sistema bancario europeo iniziano ad essere sempre di più correlate alla presenza di tassi negativi e alla eccessiva compressione dei rendimenti obbligazionari generati da un presidio assillante della Banca Centrale sul mercato. Le indiscrezioni filtrate nei giorni scorsi, secondo cui la Bce avrebbe già iniziato a discutere il tema del come uscire dal QE – indiscrezioni verosimilmente estratte dal contesto e comunque non riportate nelle minute dell’ultima riunione – hanno spiazzato gli investitori ed evidenziato la fragilità dei mercati che li vede sempre più influenzabili da notizie di minore espansione monetaria piuttosto che di maggiore. A testimonianza del fatto che ormai l’azione espansiva delle banche centrali è data per scontata e per molti pare essere diventata “per sempre”. A nostro modo di vedere questo è un segnale che il “potere” stabilizzatore dei mercati della Bce si sta indebolendo anche se il prossimo test cruciale arriverà dagli Usa.La Fed appare palesemente divisa al proprio interno tra chi spinge per un rialzo dei tassi subito e chi chiede ancora pazienza. Erano anni che il Fomc non esprimeva ben tre voci dissidenti come accaduto a settembre. Ed erano anni che non si assisteva a dichiarazioni così frequenti ed esplicitamente dissonanti da parte dei suoi esponenti. Tuttavia proprio la divisione interna, gli attacchi politici esterni (Trump) che vogliono far apparire la Fed come schierata con il Partito Democratico in una politica monetaria super espansiva non più necessaria ma politicamente utile, insieme a dati macro che vedono il mercato del lavoro in piena occupazione e con pressioni sul costo del lavoro e sull’inflazione, rendono molto probabile un rialzo dei tassi USA entro l’anno. Se a questo aggiungiamo che nei programmi politici di entrambi i Partiti USA troverà spazio una politica fiscale più espansiva, vuoi per la riforma del codice fiscale, vuoi per una maggiore spesa in infrastrutture è molto probabile che la politica monetaria negli USA dovrà diventare meno espansiva e a tendere avvierà l’inizio di una fase di minore liquidità a livello globale. Con ciò si sarà segnato l’inizio della fine del “regno” incontrastato delle banche centrali visto in questi ultimi anni in cui i mercati hanno vissuto principalmente del loro supporto. Da lì in avanti avremo più volatilità sui mercati, soprattutto sui comparti obbligazionari governativi dei Paesi sviluppati – quelli che temiamo saranno a maggior rischio di forti correzioni e perdite – mentre sui mercati azionari vedremo un ritorno alla maggiore selettività, dove sarà sempre di più il dato economico e la capacità delle Aziende di produrre reddito a guidarne gli andamenti, conclude la nota di Consultinvest.

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