La stessa Bce non ha saputo dare al mercato nuove indicazioni “di sostanza”. Si è limitata a generiche promesse di un maggior sostegno, nonostante abbia contemporaneamente evidenziato nuove previsioni di debolezza economica e abbia invocato con maggior vigore la necessità di un ruolo più espansivo per le politiche fiscali, aggiunge la nota di Consultinvest. Anche qui vediamo segni di difficoltà. Le stesse tensioni viste nel sistema bancario europeo iniziano ad essere sempre di più correlate alla presenza di tassi negativi e alla eccessiva compressione dei rendimenti obbligazionari generati da un presidio assillante della Banca Centrale sul mercato. Le indiscrezioni filtrate nei giorni scorsi, secondo cui la Bce avrebbe già iniziato a discutere il tema del come uscire dal QE – indiscrezioni verosimilmente estratte dal contesto e comunque non riportate nelle minute dell’ultima riunione – hanno spiazzato gli investitori ed evidenziato la fragilità dei mercati che li vede sempre più influenzabili da notizie di minore espansione monetaria piuttosto che di maggiore. A testimonianza del fatto che ormai l’azione espansiva delle banche centrali è data per scontata e per molti pare essere diventata “per sempre”. A nostro modo di vedere questo è un segnale che il “potere” stabilizzatore dei mercati della Bce si sta indebolendo anche se il prossimo test cruciale arriverà dagli Usa.La Fed appare palesemente divisa al proprio interno tra chi spinge per un rialzo dei tassi subito e chi chiede ancora pazienza. Erano anni che il Fomc non esprimeva ben tre voci dissidenti come accaduto a settembre. Ed erano anni che non si assisteva a dichiarazioni così frequenti ed esplicitamente dissonanti da parte dei suoi esponenti. Tuttavia proprio la divisione interna, gli attacchi politici esterni (Trump) che vogliono far apparire la Fed come schierata con il Partito Democratico in una politica monetaria super espansiva non più necessaria ma politicamente utile, insieme a dati macro che vedono il mercato del lavoro in piena occupazione e con pressioni sul costo del lavoro e sull’inflazione, rendono molto probabile un rialzo dei tassi USA entro l’anno. Se a questo aggiungiamo che nei programmi politici di entrambi i Partiti USA troverà spazio una politica fiscale più espansiva, vuoi per la riforma del codice fiscale, vuoi per una maggiore spesa in infrastrutture è molto probabile che la politica monetaria negli USA dovrà diventare meno espansiva e a tendere avvierà l’inizio di una fase di minore liquidità a livello globale. Con ciò si sarà segnato l’inizio della fine del “regno” incontrastato delle banche centrali visto in questi ultimi anni in cui i mercati hanno vissuto principalmente del loro supporto. Da lì in avanti avremo più volatilità sui mercati, soprattutto sui comparti obbligazionari governativi dei Paesi sviluppati – quelli che temiamo saranno a maggior rischio di forti correzioni e perdite – mentre sui mercati azionari vedremo un ritorno alla maggiore selettività, dove sarà sempre di più il dato economico e la capacità delle Aziende di produrre reddito a guidarne gli andamenti, conclude la nota di Consultinvest.
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