Le imprese con super azioni valgono il 2% della Borsa
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Un anno fa circa il governo ha dato il via libera a un’importante riforma per le società, con l’introduzione del voto maggiorato per le aziende quotate in Borsa e del voto plurimo per quelle che vogliono debuttare nel listino. Ebbene, in Piazza Affari a oggi hanno adottato l’opzione che consente fino al raddoppio del voto ai soci fedeli (presenti da almeno 24 mesi) 17 società e una, in occasione di una fusione e quindi di nuovo listing, ha introdotto azioni che danno tre voti. Più o meno, la capitalizzazione complessiva di chi ha aderito alla riforma è pari a circa il 2% di quella del mercato.
Un flop? Un avvio ritardato? Difficile rispondere anche perché di fatto nella maggior parte dei casi le riflessioni su questo nuovo tipo di influenza rafforzata sono cominciate a partire da dicembre-gennaio, dopo cioè che la Consob ha emanato i relativi regolamenti, aspetto di non secondaria importanza perché la rinuncia al principio un’azione-un voto determina un cambio fondamentale di prospettiva visto che il peso dei singoli soci non si basa più sul «semplice» capitale detenuto bensì sui diritti di voto disponibili.
Che ci fosse prudenza si è subito capito dal numero ristretto di società che ha approfittato della «finestra» messa a disposizione di chi voleva accedere al voto maggiorato con relativa modifica statutaria, con maggioranza semplice, invece che con quella qualificata (due terzi del capitale presente). Dell’opzione, disponibile fino al 31 gennaio 2015, hanno usufruito Campari, Amplifon e Astaldi.
Nel frattempo è scattata una insolita «rivolta», quella dei fondi internazionali, che con lettera aperta a governo, Bankitalia e Consob, hanno chiesto non venisse prorogato il regime agevolato. Inoltre Assogestioni, in una nota tecnica, ha confermato l’adesione al principio un’azione-un voto. Non è noto se l’estensione della finestra agevolata sia stata messa in agenda da qualcuno, ma è invece stata resa pubblica in febbraio la risposta del ministero dell’Economia, che ha precisato: mai pensato a proroga.
Da quando è stata necessaria per il sì la maggioranza richiesta dall’assemblea straordinaria, altre 14 società hanno aderito al voto maggiorato. E una, la Fila, ha invece introdotto azioni con voto plurimo, che consente fino a tre voti per titolo. Oggi le quotate i cui soci «fedeli» potranno godere dell’influenza raddoppiata sono in tutto 17: oltre alle tre già citate, nell’elenco ci sono Cofide, Conafi, Dea Capital, Exprivia, Hera, Intek group, Kinexia, Landi Renzo, Maire Tecnimont, Nice, Poligrafica, Ternienergia e Zignago vetro.
Si va quindi dal sesto gruppo mondiale del beverage di marca controllato dalla famiglia Garavoglia, che capitalizza oltre 4 miliardi ed è l’unico titolo nel club a far parte dell’Ftse-Mib, alla Poligrafica San Faustino che «vale» poco più di 7 milioni, quotata nel segmento Star.
In generale la caratteristica comune, sia per chi ha introdotto il voto maggiorato prima del 31 gennaio, sia per chi lo ha deliberato dopo, è la presenza di un azionista che già prima deteneva la maggioranza assoluta o comunque vicina al 50%. Obiettivi o comunque risultati: grazie al rafforzamento dell’influenza, nella maggior parte dei casi vengono garantiti l’esito positivo anche nelle votazioni di operazioni che vanno approvate in sede straordinaria e il mantenimento della maggioranza assoluta dopo eventuali diluizioni conseguenti ad aumenti di capitale.

Del resto, in assenza di una quota che garantisca il sì alla riforma, proporla in assemblea presenta un elevato rischio di bocciatura: come si è visto la deroga al principio un’azione-un voto non appare apprezzata dagli operatori internazionali, che hanno come vocazione l’investimento finanziario e non il controllo delle società, e che in molti dei maggiori gruppi quotati possono oggi contare su una presenza compresa fra il 30 e il 50-60% del capitale presente in assemblea. Diplomatica ma chiara, a questo proposito, è stata la posizione del più grande asset manager del mondo, il colosso americano BlackRock che su Generali, dove alcuni azionisti si sono pronunciati a favore del voto maggiorato, ha fatto sapere che questo tipo di opzione «rappresenta una problematica di tipo amministrativo e meccanicistico».
Così, mentre in un primo tempo si era detto che la riforma avrebbe agevolato il collocamento sul mercato di quote maggiori di società controllate dallo Stato (come Eni, Enel o Finmeccanica) oppure avrebbe consentito una presa maggiore da parte di azionisti che per varie ragioni oggi sono meno forti (come le fondazioni nelle banche), per il momento questi risultati non sembrano nemmeno fra gli obiettivi considerati. Proprio nelle scorse settimane il presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, ha detto che la banca, al lavoro sulla riforma della governance, continuerà ad attenersi al principio «one share-one vote».

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