L’operatività della clausola penale e la diligenza del contraente nel leasing

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Tribunale di Bologna, 10 settembre 2014

Con sentenza del 10 settembre 2014, il Tribunale di Bologna si è pronunciato sull’operatività della clausola penale nell’ambito di un contratto di leasing.

Ancora una volta, il Foro Felsineo si è dimostrato il perfetto simposiarca nella coniugazione degli elementi di fatto e di diritto.

Infatti, nel giudizio che prende le mosse dalla domanda spiegata dalla società finanziaria a fronte dell’inadempimento dell’utilizzatore, l’Organo Giudicante ha condotto un’analisi dettagliata dell’operatività della clausola penale nell’ambito dei contratti predisposti unilateralmente dal proponente, cd contratti per adesione.

In particolare, l’asserita inefficacia della clausola penale ex art. 1341 c.c., in quanto redatta con  “una grafia poco accattivante”, diviene assolutamente pretestuosa nella misura in cui il contraente dotato di normale diligenza ben avrebbe potuto “e dovuto chiederne una copia ingrandita (adempimento assai facile, con l’utilizzo di una fotocopiatrice di media qualità, ovvero con la scansione dello stesso).”

Quanto, poi, al nomen iuris della clausola de quo, che nella regolamentazione contrattuale è denominata clausola risolutiva espressa in luogo di clausola penale, il Giudice conduce la propria disamina ponendo nuovamente  – e del tutto correttamente – l’accento sulla condotta del contraente.

Quest’ultimo, infatti, per effetto della separata sottoscrizione avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione al contenuto del contratto che si apprestava volontariamente a concludere.

Anche l’eccessiva onerosità della clausola penale, eccepita dall’utilizzatore nel tentativo di “sottrarsi” alle obbligazioni contrattuali volontariamente assunte, è stata giudicata infondata in quanto l’operatività della clausola deve essere valutata alla luce dell’equilibrio complessivo del sinallagma contrattuale, nonché “del margine di guadagno” che spetta del tutto legittimamente al concedente per effetto del perfezionamento del contratto.

Da ultimo, il Giudice afferma l’inoperatività dell’art. 1383 c.c., che sancisce il divieto di cumulo tra  prestazione principale e penale, nell’ipotesi in cui l’utilizzatore abbia restituito il bene concesso in godimento.

Infatti, la restituzione del cespite – alla luce della valutazione delle prestazioni complessivamente dedotte nel contratto – non può certamente considerarsi alla stregua dell’obbligazione principale,  data l’inutilità per il concedente di rientrare in possesso di un bene  acquistato esclusivamente nell’ambito dell’esercizio di un’attività finanziaria.

L’organo Giudicante prosegue declinando la ratio della clausola penale nei seguenti termini: “solo la corresponsione di una somma  di denaro che “ripiani” l’esborso  sostenuto per il finanziamento  e procuri un utile aggiuntivo  vale a riequilibrare l’assetto dei contrapposti interessi in campo”.

A tal proposito, avuto riguardo all’utilità già ricavata dal concedente per effetto delle prestazioni già adempiute dall’utilizzatore, il Giudice sottolinea l’applicabilità alla fattispecie de quo di quanto sancito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di contratti a prestazioni corrispettive.

In particolare, deve ritenersi che “il divieto di cumulo  fra la prestazione principale  e la penale prevista dall’art. 1383 c.c. riguarda le sole prestazioni già maturate, e non quelle non ancora maturate  e per le quali permane l’obbligo dell’adempimento, poiché, in caso contrario, sarebbe consentito al debitore di sottrarsi all’obbligazione attraverso il proprio inadempimento” (cfr. Cass. Sent. n. 2976 del 2005).

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